Il diritto di opporsi, Recensione del film con Jamie Foxx

"Basato su una storia di vera ingiustizia". Dal 30 Gennaio al cinema arriva Il diritto di opporsi: film con Jamie Foxx, Micheal B. Jordan e Brie Larson, dedicato al calvario di Johnny D., condannato alla sedia elettrica nel 1986, e alla storica battaglia del suo avvocato, Bryan Stevenson. Dal 30 gennaio al cinema.

Il diritto di opporsi
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Presentato in anteprima al Toronto Film Festival, arriva in Italia il 30 Gennaio uno dei grandi esclusi dagli Oscar 2019: Il diritto di opporsi (Just Mercy) di Destin Daniel Cretton.

Jamie Foxx (Django), Micheal B. Jordan (Creed e Creed II) e Brie Larson (Captain Marvel) sono i protagonisti di un legal-drama dedicato a una storia tanto ingiusta, assurda e tragica che sembra travalicare l’immaginazione più perversa. Eppure, non solo è tutto vero.

Quella di Walter McMillian, detto Johnny D., è solo una tra le moltissime storie di giustizia sommaria, che ha consegnato un numero imprecisato d’innocenti a una vita nel braccio della morte, e possibilmente alla pena capitale. Loro unica colpa, ovviamente, non era che essere afroamericani. Ma se pensiamo che si tratti di un problema essenzialmente americano, Il diritto di opporsi ci ricorda come il caso McMillian parli al presente, e al mondo occidentale in genere.

Il diritto di opporsi poteva presentarsi facilmente in forma di melodramma. Ma il nostro Django/Jamie Foxx abbandona invece le vesti del valletto e l’aura dell’eroe westener, per trovare realismo e tormento di un destino segnato, lo sguardo di chi ha vissuto solo ai margini estremi, dove la crudeltà più efferata è ineluttabile e naturale.

Il diritto di opporsi

Quando ha scelto di adattare per il grande schermo il best-seller di Bryan Stevenson, il regista Destin Daniel Cretton ha scelto la direzione di un’opera fortemente contemporanea. La sfida era ardua. Una materia narrativa così incandescente, nasconde in ogni passaggio una nuova insidia: scadere nel sentimentalismo, esasperare la commozione, indulgere sui risvolti più dolorosi di una vicenda che possiede ogni tratto del conflitto tragico. D’altra parte, sarebbe stato semplice scrivere un film denuncia, fondato interamente su un “messaggio” di natura sociale ed politica.

Il diritto di opporsi non si inserisce banalmente nella classica struttura del legal-drama, fondata sulla relazione tra l’imputato e il suo legale. Al contrario, moltiplica la sua forza d’urto scegliendo dignità e rigore, e un linguaggio meno prevedibile, didascalico e convenzionale rispetto agli standard del genere.

Il film ricostruisce la storia di Johnny D. (Jamie Foxx) ma anche di Bryan Stevenson (Micheal B. Jordan). Ovvero, di un ragazzo afroamericano che accede alla Scuola di Legge di Harvard, consegue una laurea che è la chiave per un futuro di fama, successo e benessere economico, ma sceglie la via più impervia. E questa via conduce ineluttabilmente in Alabama, in un carcere di massima sicurezza, per difendere quella serie di detenuti dimenticati da Dio e dagli uomini.

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Un dato sconcerta più degli altri: queste storie sono tante, sono note, eppure si ripetono da decenni nell’indifferenza generale.

Negli Usa e in quel Sud che conserva una passione per lo schiavismo, quando c’è un crimine violento, l’opinione pubblica pretende un colpevole. Si tratta di una fame biblica, violenta, che conosce un solo genere di giustizia. Ovvero, quella che Richard Slotkin ha definito come “Regeneration through violence”. E fatalmente, quando è ora di lavare il sangue col sangue, qualunque afroamericano si presta a rappresentare il delinquente perfetto.

Il diritto di opporsi racconterà allora una delle tante storie di uomini fermati senza ragione, condannati sulla base di prove indiziarie, processi sommari, testimonianze prive di riscontro. Perché in questa catena infernale, dalla polizia al sistema giudiziario, ogni abuso di potere apparentemente è lecito, mentre i colpevoli perdono ogni parvenza di umanità, circondati da una folla plaudente, che invoca il passaggio alla sedia elettrica.

Dagli anni ’80, Bryan Stevenson e la sua organizzazione no-profit, Equal Justice Initiative, sfidano un sistema consolidato di ingiustizia razziale. E se la norma era la negazione sistematica dei più banali diritti umani, la bellezza del film risiede proprio nella prospettiva di un racconto corale, che riserva umanità e respiro a ogni singola figura secondaria.

Il diritto di opporsi

La trama de Il diritto di opporsi vi ricorda il nuovo film di Clint Eastwood, Richard Jewell?

Bene, perché i due film rappresentano davvero due facce della stessa medaglia. Con un dettaglio infinitesimale, che rivela la differenza tra bianco e nero. Il calvario di Richard Jewell si consuma sui Media, prosegue 88 giorni. Quello di Walter McMillian prevede invece una sentenza capitale e 6 anni di attesa nel braccio della morte.

Anche la prospettiva del racconto corale differenzia fortemente il film di Destin Daniel Cretton dall’ultimo lavoro di Clint Eastwood. Entrambe le storie trovano nella figura dell’avvocato difensore la chiave di volta per rappresentare una tragedia contemporanea. Come già accennato, tradizionalmente il legal-drama Made in USA sviluppa la sceneggiatura sul processo di avvicinamento, quel legame che si instaura progressivamente tra il detenuto e il legale, e procede in genere dalla diffidenza alla stima, per arrivare a un profondo affetto fraterno.

Il film di Eastwood riserva le implicazioni principali al protagonista Paul Walter Hauser. Qui in termini narrativi prevale invece la figura dell’attorney Michael B. Jordan. Ma ne Il diritto di opporsi, oltre alla celebrazione del coraggio e dell’incredibile battaglia ingaggiata da Bryan Stevenson per ottenere un nuovo processo, l’assoluzione e la liberazione di un innocente, c’è anche un intero mondo sommerso.

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Il film trova il suo cardine in Jamie Foxx e Michael B. Jordan, nel dualismo tra un uomo che ha perso ogni speranza e un giovane disposto a rischiare la sua stessa esistenza in nome della giustizia. Ma gli autori e questo eccellente gruppo di interpreti ha tentato seriamente di scongiurare il rischio della retorica.

Il risultato è il ritratto struggente di un microcosmo popolato da reietti, outkast che hanno trascorso una vita a dimenarsi in una rete di torti e ingiustizie. E che forse, hanno dimenticato perfino cosa siano la giustizia, e quei diritti riservati ad altri.

Riservare spessore a molti personaggi tecnicamente secondari, significa amplificare il messaggio di umanità che è al centro di questa intensa prova cinematografica. Un film certo memore di altri capolavori dedicati al tema della pena di morte: Dead Man Walking di Tim Robbins (1995), Il miglio verde di Frank Darabont (1999), Dancer in the dark di Lars Von Trier (2000).

Per altro, la struttura del film corale riflette concettualmente uno spunto che merita una riflessione. Ovvero, come negli Stati Uniti la comunità afroamericana ricerchi tradizionalmente un’idea di unità, solidarietà verso tutti i “fratelli”, anche pure non sono legati né dal DNA né dal sangue. L’idea è che la comunità possa farsi carico delle difficoltà, della tragedia del singolo: la perfetta antitesi di una società individualista, fondata sul diritto all’indifferenza feroce.

Restituire il complesso di azioni legali intraprese dall’inarrestabile Bryan Stevenson ha prodotto una sceneggiatura da 136 minuti, che non è certo perfetta né immune da imperfezioni.

Ma per sottolineare la necessità di un film come questo, basterà accennare a 3 di queste figure secondarie, che non rappresentano banalmente una linea narrativa funzionale al tema principale. Oltre a Jamie Foxx e Michael B. Jordan, anche Brie Larson si distingue nella parte dell’attivista Eva Ansley. Per non parlare di quel cowboy che apre La ballata di Buster Scruggs dei fratelli Coen, Tim Blake Nelson, che qui innesca un fondamentale plot-twist, mentre regala una delle interpretazioni più struggenti della sua carriera.

Infine, Rob Morgan lascia per un momento il Marvel Cinematic Universe e diventa Herbert Richardson: figura che ci riporta al Vietnam, alle ferite mai sanate di un società che replica ossessivamente i propri errori.

Forse, l’Academy avrebbe potuto effettivamente riservare delle nomination per il cast de Il diritto di opporsi. Per conoscere le altre novità al cinema dal 30 Gennaio, continuate a seguirci su LaScimmiaPensa.Com.