Sono il tuo sogno eretico è un brano del rapper pugliese Michele Salvemini, in arte Caparezza. Questa traccia è tratta dal quinto album dell’artista, datato 2011 e che è quasi omonimo della canzone in esame: Il sogno eretico.
Come solito fare, Caparezza in questo brano usa un linguaggio estremamente metaforico ed allusivo trattando un tema presente sia nel concept del disco che nel brano Il dito medio di Galileo, ossia il concetto stesso di eresia e di libertà di espressione.
Questa canzone è una sorta di compendio che racchiude la storia di tre grandi eretici e pensatori della storia, tutti aventi in comune una caratteristica: essere morti sul rogo a causa dei loro pensieri. Essi sono Giovanna D’Arco, Savonarola e Giordano Bruno. La musica di fondo ha di base il suono del fuoco che brucia, evocativo della storia dei protagonisti narrati e la melodia è molto allegorica e fuori dal tempo, quasi fosse un brano folk dai toni medioevali. Detto questo, possiamo passare all’analisi del testo.
Giovanna D’Arco, la donna, la santa
Sono una donna e sono una santa Sono una santa donna e basta Sono stata una casta vincente Prima che fosse vincente la casta Dalla Francia la Francia difendo Se l’attacchi la lancia ti fendo Estraggo la spada dal cuoio Polvere ingoio ma non mi arrendo Gli inglesi da mesi vorrebbero la mia capoccia in un nodo scorsoio, oio Sono un angelo ma, con loro mi cambierò in avvoltoio, oio Vinco una guerra contro l’Inghilterra non è che ‘ndo cojo cojo Perché sento le voci che non sono voci di corridoio, oio
Va all’inferno satanasso È un letto di fiamme il tuo materasso La tua parola non vale più Accenditi fuoco, spegniti tu
Il rapper pugliese in questa sezione si dedica alla figura di Giovanna D’Arco, donna e santa. Difatti fu canonizzata nel 1920 da papa Benedetto XV e resa patrona di Francia. Caparezza ci racconta la vita della donna, che compì voto di castità e che fu grande condottiera, guidando le armate francesi contro quelle inglesi durante la guerra dei cent’anni. Infine Salvemini ci mostra la fine della donna che, a causa delle voci che diceva sentire e che venivano da Dio, (che non sono voci di corridoio) venne condannata al rogo con l’accusa di essere una specie di strega (o meglio, un satanasso) le cui parole non andavano più ascoltate.
Invece io sono domenicano Ma non chiedermi come mi chiamo Qua è sicuro che non me la cavo Mi mettono a fuoco non come la Canon Detesto i potenti della città Detesto Sua Santità Un uomo carico d’avidità Che vende cariche come babbà La tratta dei bimbi come geishe Cresce in tutto il clero Ma nessuno ne parla e il millequattro non è Anno Zero Ed ora mi impiccano, mi appiccano Come un bengala a capodanno Di me rimarrà un pugno di cenere da gettare in Arno
Accendevi i falò laggiù Bruciavi i libri di Belzebù Era meglio mettere su I carboni del barbecue
Questa seconda parte è invece dedicata a Girolamo Savonarola, predicatore toscano della fine del ‘400. In questa sezione, Caparezza ci mostra perfettamente fin da subito i motivi della fine di Savonarola. Il pensatore infatti ebbe da ridire con papa Alessandro VI, che passò alla storia per aver venduto diverse cariche ecclesiastiche (come babbà) e anche con i politici di Firenze, per la quale Savonarola predisse sciagure a causa della cacciata dei Medici. Inoltre Caparezza approfitta del contesto per lanciare una solita frecciatina alla Chiesa, rea di numerosi casi di pedofilia. Per farlo allude al trattamento riservato ai bambini durante il 1400, quando venivano trattate come geishe, intese come prostitute, senza che nessuno ne parlasse, non esistendo un mezzo di informazione come potrebbe essere il programma Anno Zero. Qui, al contrario della strofa precedente è il protagonista a parlare in prima persona sapendo perfettamente che per le sue gesta sarà bruciato vivo (di me rimarrà un pugno di cenere).
Giordano Bruno e la forza dell’intelletto
Infine mi chiamo come il fiume che battezzò colui Nel cui nome fui posto in posti bui Mica arredati col feng shui Nella cella reietto perché tra fede e intelletto Ho scelto il suddetto Dio mi ha dato un cervello Se non lo usassi gli mancherei di rispetto E tutto crolla come in borsa La favella nella morsa La mia pelle bella arsa Il processo? bella farsa Adesso mi tocca tappare la bocca nel disincanto lì fuori Lasciatemi in vita invece di farmi una statua in Campo de’ Fiori
La chiusura non lascia spazio all’immaginazione nel capire di chi si parli. Difatti Caparezza ce lo dice quasi esplicitamente, riferendosi alla celeberrima statua di Giordano Bruno eretta in Campo de’ Fiori a Roma, oltre alla prima frase nella quale viene fatto riferimento al fiume dove venne battezzato Gesù, appunto il Giordano. Nel resto del testo viene spiegato il motivo fondamentale della fine di Bruno, ossia il suo pensiero naturalistico e rivoluzionario per il XVI secolo nel quale viveva. Facendo parlare il suo personaggio in prima persona, Caparezza ci spiega come Bruno si rifiutò di abiurare le sue idee poichè non voleva andare contro il suo pensiero per motivi religiosi e di come subì un processo farsa, venendo bruciato vivo con la lingua bloccata in una morsa in maniera tale da impedirgli di parlare.
Un gioco di parole per descrivere i “peccati”.
Mi bruci per ciò che predico È una fine che non mi merito Mandi in cenere la verità Perché sono il tuo sogno eretico Io sono il tuo sogno eretico
Io sono il tuo sogno eretico
Io sono il tuo sogno eretico Ammettilo sono il tuo sogno eretico
Questo è infine il ritornello che divide le strofe. Caparezza riesce a ragguagliare la sorte dei tre personaggi con poche parole chiave, ma perfettamente allusive ed iconiche. I personaggi vengono tutti arsi vivi, tutti perché predicavano la verità e tutti ingiustamente. Il titolo della canzone, ribadito nel ritornello, sta a sottintendere come questi 3 eretici, insieme a migliaia di altri, furono sogni, intesi come incubi, della Chiesa che non poté far altro che tacerli con la violenza, non potendo comunque fermare il processo evolutivo del pensiero umano.