Dai TARM a Tha Supreme: le maschere nella musica italiana
Da sempre nella storia della musica c'è chi preferisce non mostrare il proprio volto durante le esibizioni, spesso tramite l'utilizzo di maschere. Ma non solo. In questo articolo, discuteremo delle identità celate della musica italiana degli ultimi 25 anni.
Erano gli anni ’80 quando Davide Toffolo -futuro leader dei Tre Allegri Ragazzi Morti- militava in un’altra band friulana chiamata Futuritmi, suonando appunto con lo pseudonimo di Sorriso. All’epoca non c’era ancora l’usanza per lui di indossare delle maschere, prassi che si palesò solo nel 1999, quando con la band con cui poi sarà noto in tutta Italia firmò per una nota major. I discografici li convinsero a rendersi riconoscibili qualora dovessero rilasciare interviste o apparire in tv.
Fu così che dalla sapiente matita di Toffolo (talentuoso designatore) nacquero i famosi teschi crociati con cui la band si esibisce tutt’ora. “Non siamo solo noi sul palco ad indossare le maschere, ma tutte le persone nella società“. Così sentenzia Toffolo. Quella trovata prettamente commerciale si sviluppò fino ad ampliare l’immaginario evocativo già presente nei testi, costituendo così un vero e proprio marchio di fabbrica per la band. Ma vediamo chi altri dopo di loro si è divertito a celare la propria identità.
Anni 2000: le maschere della Fidget House
Ci spostiamo dall’indie e dalle chitarre acustiche per addentrarci in un mondo fatto di campionamenti e sintetizzatori. Stiamo parlando della Fidget House, sottogenere dell’house music sorto dalla corruzione di altri sottogeneri (garage house e UK garage) fusi ad elementi propri della cultura Rave. Questo sottogenere trovò in Italia un vastissimo vivaio, sorto verso la metà del 2000. Tra i tanti, due progetti in particolare fanno al caso nostro: The Bloody Beetrootse Cyberpunkers.
Cos’è che accomuna la band vicenzina e quella milanese? Proprio l’uso intensivo delle maschere. Nel caso dei Beetroots, la prassi di indossare durante i dj set (e nei live strumentali poi) la maschera dello Spiderman nero, quello del terzo Spider Man di Raimi per intenderci, si evolse fino a diventare una vera e propria linea di abbigliamento, appoggiata dall’azienda francese Sixpack France. Il fondatore Sir Bob Cornelius Rifo lo abbiamo visto anche a Sanremo al fianco di Raphael Gualazzi in Liberi o No.
E se sui Beetroots influì il fattore moda, per i Cyberpunkers valse invece il fattore nostalgia: “Negli anni ’90 abbiamo acquistato il gioco di ruolo “Cyberpunk 2020”, dove ti immedesimavi in un personaggio per intraprendere viaggi fantascientifici circondato da androidi e navicelle spaziali (…) quella fantasia ci spinse ad approfondire questo stile, scoprendo così film quali Matrix, Tokyo Decadence, Tetzuo o Il teorema del Delirio“. Questo background chiarisce alla perfezione la scelta del nome, inoltre dona senso all’immaginario che si sono costruiti attorno.
Anni ’10: Cyberpunkers & Salmo
C’è chi le maschere le porta a vita, c’è chi invece decide di abbandonarle. È il caso di Maurizio Pisciottu, alias Salmo, il rapper che oramai è sulla bocca di tutti e che è per tutti riconoscibile. Un tempo però non era così, almeno fino al 2013, anno in cui rilasciò il suo terzo disco prodotto in compagnia di numerosi musicisti nostrani. Tra questi c’erano appunto i Cyberpunkers, coi quali coprodusse il singolo di lancio del disco, Russell Crowe. La magniloquente produzione di Midnite (questo il nome del disco) fu accompagnata da un’altrettanto efficace manovra commerciale.
Fin dagli esordi infatti il rapper sardo era solito indossare una maschera, anch’essa a forma di teschio con una croce in fronte (come i colleghi friulani) ma dai richiami più ”satanici”. Quell’anno decise -principalmente per motivi artistici- di liberarsene, mostrando un lato di sé molto meno aggressivo e decisamente più intimista. Da una parte c’era quindi il duo milanese che abbiamo già affrontato, le cui identità rimanevano ancora celate in virtù di un immaginario fantascientifico. Dall’altra c’era Salmo, maturo e consapevole di aver intrapreso un percorso tale per cui la maschera risultava ormai superflua.
Nello stesso anno in cui Salmo pubblicava Midnite, cominciava ad affacciarsi sul panorama della musica italiana una giovane milanese ribelle, il cui personaggio intendeva sfatare il mito social dell’immagine subordinandolo alla concretezza della sostanza e all’importanza di esprimersi liberamente. Si presentava con occhiali da sole molto scuri e veli rossi per coprirsi naso e bocca. Stiamo parlando naturalmente di M¥SS KETA, vocalist di un progetto considerevole sorto per mettere alla berlina i pregi e i difetti -soprattutto questi- della cultura underground milanese.
Il successo aumenta esponenzialmente fin dalla pubblicazione di Milano, Sushi e coca, ma passano ben 4 anni prima della pubblicazione del primo EP: Carpaccio Ghiacciato, pubblicato da Tempesta Dischi. Siamo quindi nel 2017, anno in cui inizia a circolare il video di una particolare canzone chiamata “9 MAGGIO”, ambientato a Scampia. Vi appare una misteriosa figura incappucciata della quale a malapena esistono profili social, già molto strano per un cantante odierno. Trattasi di Liberato, cantante e producer napoletano. Il suo simbolo è una rosa.
Il cantante che regala ”tramonti gratis” ai propri concerti è tutt’ora oggetto di speculazioni per quanto ne riguarda l’identità, e tra le nuove proposte dell’ultima decade sembra essere quello che meglio di tutti ha saputo sfruttare l’anonimato. Di lui sappiamo la provenienza, di Myss Keta sappiamo provenienza e aspetto fisico. Di qualcun’altro sappiamo praticamente tutto. È molto sfuggente nei social -anche se talvolta vi appare di sua sponte- e anche lui è perfettamente in grado di gestire (a suo modo) l’anonimato. Nonostante sia il più giovane di tutti.
..e mascotte virtuali
Si parla chiaramente di Tha Supreme, alias Davide Mattei. Esordisce a soli 16 anni, prima su youtube col suo primo singolo ufficiale (6itch) e il mese dopo al fianco di Salmo, con la creazione del beat di Perdonami, noto successo del rapper. In realtà erano già anni che produceva per conto proprio, tanto da lasciare persino la scuola per poterlo fare a tempo pieno. L’impegno paga, e infatti 236451 -uscito il 15 novembre scorso- risulta un sorprendete disco d’esordio. Vanta numerose collaborazioni (Fabri Fibra, Nitro, Marracash, Mahmood, Salmo, Gemitaiz..) e un sapiente uso dei campionamenti, talvolta caotici e taglienti. Ma a noi interessano le modalità di promozione del disco, quanto meno inusuali.
In data 5 novembre, appaiono nelle stazioni Termini e Milano centrale due statue di ben 5 metri, raffiguranti un ragazzo con felpone tentacolato, jeans, scarpe spaiate, aureola e capuccio tirato su (dotato di corna). Sul piedistallo appaiono gli stessi numeri del disco, il nome dell’artista e il logo di Spotify. Sarebbe meglio dire ”artisti” magari, dato che è difficile pensare che tutta questa magniloquente manovra di marketing si regga solo sulle spalle di un diciottenne. Quella statua rappresenta sì l’alter ego virtuale di Davide, ma dietro il nome Tha Supreme c’è quasi sicuramente più di una singola persona, esattamente come per i colleghi M¥SS KETA e Liberato.
L’idea di collettivo non è certo nuova nel panorama musicale. Si pensi ai Massive Attack o ai più recenti Animal Collective per quanto riguarda la musica elettronica, al Wu Tang Clan per il rap, ai Crass per il punk e addirittura ai The Band per il country rock anni ’60. Negli ultimi anni abbiamo però assistito -come abbiamo potuto appurare con gli ultimi esempi- ad una rinascita del fenomeno in stile terzo millennio. Campagne social, collaborazioni, utilizzo attivo dei videoclip, alter ego virtuali… Inoltre a differenza dei soliti collettivi la maggior parte della crew agisce nell’ombra, creando grafiche al posto di beat ed eventi al posto di testi. Delegando la notorietà ad un singolo individuo, anche se in questi casi più o meno sconosciuto.
La mancanza del frontman ”fisico”, tipica dei collettivi, si manifesta quindi in maniera differente. Coprendone semplicemente il volto, facendolo apparire di spalle con una felpa brandizzata o sostituendolo direttamente con una sorta di Morty in versione trap, quello stesso ragazzo digitale che a metà tra angelo e demone si aggira nei pressi di una ”scuol4” in data 4 giugno 2018 (Ci riferiamo al video 08/06 ”scuol4”, apparso sul canale youtube Tha Supreme due giorni prima della pubblicazione del singolo e del videoclip di scuol4 appunto, traccia poi inserita in 236451).
Maschere obsolete
Perché avvalersi ancora di una maschera copri-volto quando si può delegare la propria intera figura ad un avatar in perfetto stile Gorillaz? Davide e suoi collaboratori lo sanno bene e ne sfruttano al massimo le potenzialità, consci che per far breccia nelle nuove generazioni non c’è modo migliore di agire. In un mondo in cui tutti indossano maschere -come già suggeriva Toffolo- elevare la propria ad immagine identitaria la rende più reale della figura tangibile che c’è dietro, assai più sfuggente. La siffatta evoluzione della maschera dei Tarm e di quella social è quindi quella proposta da Tha Supreme: non più un oggetto che cela la propria identità, ma una seconda identità intangibile che sostituisce quella di carne. Il futuro dell’anonimato in musica.