In ogni epoca, di norma, si guarda con favore ad un’epoca precedente nella ricerca di un periodo “d’oro” a cui guardare, e dal quale recuperare valori e idee. Il revival anni ‘80 che ha caratterizzato molta cultura degli anni ‘10 non era esattamente qualcosa di inaspettato; allo stesso tempo, però, il modo in cui è avvenuto è stato tanto particolare da influenzare l’arte contemporanea in maniere peculiari.
L’idea, più o meno inconsapevole all’inizio, è stata quella di un misto di omaggio e parodia, e si riassume bene nel grande ritorno al successo della canzone Africa dei Toto nel 2018: la si prendeva in giro, come simbolo dell’ingenuità di un’epoca iper-consumistica e ultra-conservatrice(gli anni ‘80) molto simile alla nostra, ma allo stesso tempo piena di un cieco ottimismo e di una passività ideologica che noi oggi non possiamo più permetterci.
C’è perciò una nostalgia che è in realtà il desiderio di un ritorno a valori semplici, lineari, che Internet e i social network hanno oggi completamente distrutto, lasciandoci nella confusione di senso che ben conosciamo. Ecco perché ci piace tanto riascoltare Africa dei Toto. Il revival è iniziato, come tutti i fenomeni, in un ambiente di nicchia.
Al principio degli anni ’10 nei meandri dell’Internet, esponendosi in campo musicale soprattutto nell’ambito della cosiddetta vaporwave: una forma di elettronica chillwave che sfruttava canzoni appunto degli anni ‘80 e ‘90, debitamente rallentate e ri-maneggiate, per creare un ambient distorto, psichedelico e dal sapore retro-futurustico.
Da lì, sempre più artisti hanno iniziato a guardare agli anni ‘80 come fonte di ispirazione: lo prova la rinnovata popolarità dei suoni synthpop che si sono diffusi a macchia d’olio nelle produzioni rock, pop e rap verso la metà degli anni ‘10. L’indie pop, in particolare, se ne è appropriato e ne ha fatto una sorta di marchio di fabbrica; ma lo stesso hanno fatto molti gruppi indie, cedendo poi al fascino dell’A E S T H E T I C S anche nei videoclip, sulle copertine degli album o nelle esecuzioni stesse dei brani.
Questi sono alcuni esempi, ma si potrebbe continuare. L’apice si è avuto, forse, quando il rapper e cantante Pitbull ha registrato una versione del tutto improponibile della ormai immancabile Africa dei Toto, per la colonna sonora del film Aquaman: un tentativo becero e sfacciato di sfruttare la popolarità della canzone, e la moda del revival, a fini commerciali. D’altra parte, chi di questo revival anni ’10 ha afferrato lo spirito complessivo si deve essere per forza trovato in apprezzamento di questa versione, proprio perché “ignorante” fino all’osso.
2.
DIY (Do It Yourself)
Le nuove tecnologie, a partire dai software per la manipolazione dei suoni e la produzione musicale, hanno con gli anni introdotto moltissimi artisti “fai-da-te” al mercato discografico. Questo dando loro la possibilità di produrre e presentare la propria musica su appositi portali(SoundCloud, Bandcamp, ma anche semplicemente YouTube) senza attraversare per forza la trafila faticosa della ricerca di un contratto, o la lunga gavetta dal vivo per guadagnare lentamente notorietà e attirare qualcuno interessato a dare loro una possibilità.
I primi noti per aver avuto successo con questo tipo di meccanismo sono stati naturalmente gli Arctic Monkeys, già attorno al 2005. Ma negli anni ‘10 è diventata norma, per gli artisti indipendenti e soprattutto provenienti da realtà isolate, cercare di farsi conoscere caricando la propria musica su Internet e promuovendola così senza costi (o con costi minimi). In molti sono diventati fenomeni viral, legati a canzoni magari semplicemente uscite al momento giusto; altri, come per esempio Carly Rae Jepsen, sono diventati delle vere superstar di internet, con un successo che ha consentito loro di poter portare avanti una carriera vera e propria.
Produzione e distribuzione sono divenuti processi quindi sempre più alla portata del singolo utente/artista (prod-user), il quale arriva direttamente al pubblico, senza intermediari. Da una parte sono nate allora le figure dei super-produttori, come Kanye West, Kevin Parker, Steven Ellison o Justin Vernon, che collaborano con tutti ma sono anche capaci di creare da soli musicalità fino a prima degli anni ’10 impensabili.
Dall’altra sono spuntati fenomeni imprevedibili che, facendo leva sulla crescente popolarità derivante dalla loro diffusione, si sono affermati come realtà a sé stanti, con un successo pari, se non superiore, a quello degli artisti regolari.
Tra questi ultimi figurano gli artisti del cosiddetto bedroom pop, noti per la loro sensibilità agli arrangiamenti lo-fi, le melodie malinconiche e lo stile vagamente folk/synth/psych. Mac DeMarco, anche se non propriamente un fenomeno di Internet, è stato il primo. Altri sono seguiti, come Claire Cottrill, diventata famosa con la hit virale Pretty Girl, nel 2017.