L’hip hop ha due facce, e ad oscillare tra una e l’altra può riuscire solo Lui: Kanye West.
Inutile specificare che “Lui” non è il Signore (che comunque non se la cavava male a livello lirico) ma Kanye West, un uomo che nei primi Duemila si è preso il rap e lo ha rivoltato un po’ secondo la moda e un po’ come gli pareva e piaceva. Certo, dobbiamo smetterla di paragonarlo ad una divinità , quantomeno per arginare i suoi deliri di onnipotenza. Ma dobbiamo anche essere onesti, e riconoscergli il merito enorme che è questo album
Il “lusso” in musica è un’idea volutamente ingannevole, e geniale per l’utilizzo che se ne fa.
Il guaio è che, se volessimo definire (e le definizioni sminuiscono per natura) questo “lusso” di cui parliamo, l’unica cosa che potremmo consigliarvi è ascoltare My Beautiful Dark Twisted Fantasy. Un album capace di creare una tendenza che non si esaurisce in esso e che non riesce a trovare definizioni migliori del titolo del disco stesso, è senza dubbio un capolavoro. La forza spropositata di questo disco sta nel fatto che è un disco hip hop, e per un senso di appartenenza fortissimo di West, è di conseguenza un disco di black music. E c’è ancora qualcosa in più: è un disco di black music filtrato dal meglio di MTV (sì, esiste un “meglio” in MTV, e non è solo il meno peggio).
R’n’B, Mike Oldfield, King Crimson, il sogno barocco di Kanye West.
Il disco scintilla, letteralmente, per il sound design gigantesco: All Of The Lights ha una sezione ritmica fin troppo martellante per un pezzo del genere, mentre Runaway con Pusha-T rimane minimal e assillante fino ai sei minuti, due estremi difficilmente conciliabili senza un’adeguata struttura che segni la direzione precisa che l’opera deve seguire. In ogni pezzo saltano fuori momenti di dilatazione, di allargamento dello spazio del brano, come possono essere le sezioni di archi in tutti quanti i tredici pezzi, le linee vocali delicate e larghissime di Bon Iver in Lost In The World, i fiati trionfali ancora in All Of The Lights, i cori di memoria gospel (solo di memoria, senza alcuna pretesa) nel primo brano, Dark Fantasy.
Tredici tracce di tredici generi differenti, tutte in un solo disco. Il primo brano campionaIn High Places di Mike Oldfield e Jon Anderson facendolo diventare un glorioso ritornello a metà tra il motivatore e l’asceta. In POWER (il titolo figura in capslock nella tracklist ufficiale, sei anni in anticipo sulla tendenza attuale) campiona 21st Century Schizoid Man dei King Crimson; in un crescendo che arriva al massimo solo nei venti secondi finali, un canto tribale recita “No one man should have all that power” in aperta critica ad Obama.
Hell Of A Life è costruita sostanzialmente su di un glitch, un suono che ricorda i crash dei videogiochi di trent’anni fa; ricollegandosi alle sonorità patinate di Graduation, a voler fra un po’ di dietrologia, potrebbe indicare proprio la svolta cruda post-glitter: il degenerare dell’elettronica pulita e sorridente in una bellissima, oscura e deviata fantasia.
Letteralmente, il punto di svolta della musica degli anni Dieci del Duemila.
Il citazionismo, anch’esso barocco ed esagerato per quanto è vario (Woods dei Bon Iver e Iron Man dei Black Sabbath, per dirne due) conferma il ruolo importantissimo di questo album: antologia della musica prima di esso, e punto di partenza della musica dopo di esso. Quando sentite un pezzo hip hop in TV, quando siete in discoteca e partono la drum machine e un synth bello spesso, ripensate a My Beautiful Dark Twisted Fantasy e molto probabilmente troverete un punto di contatto. Col senno di poi, ascoltate gli ultimissimi dischi di Kanye, il nuovo DAYTONA di Pusha-T: ci sentirete, ancora una volta, questo disco.
L’impatto sonoro amplifica a dismisura la potenza critica di questo disco, dove i testi sono un continuo confronto “io-voi” e “io-loro” e si aprono a prospettive molto larghe, come quella del potere politico nella sopracitata POWER o la perversione estrema in Hell Of A Life; le parole si prendono a cazzotti con le strumentali ma entrambe hanno il loro peso: le prime sono nude e vere, le seconde visionarie. E attorno a questo ruota tutto il disco. Un album imprescindibile, inossidabile, ineluttabile e tutta un’altra serie di parole che suonerebbero comunque meno altisonanti di quelle che servirebbero per darne anche solo un’impressione: l’unico modo per sentirlo è ascoltarlo.