Non è sempre semplice indicare le caratteristiche che rendono un’opera un pezzo di storia. Random Access Memories (RAM da ora) dei Daft Punk ha tutte i crismi del caso per essere un disco che resterà impresso nei secoli dei secoli. Il duo francese contraddistinto dai due iconici caschi, sono ormai leggende viventi nel mondo della musica elettronica ma volevano puntare più in alto, allargare i propri confini verso… tutto.
Il primo aspetto da dover prendere in considerazione è senz’altro il contesto in cui è uscito il disco. Siamo nel 2013 e le voci su un nuovo disco dei Daft Punk circolavano ormai da mesi. Electro, dubstep e EDM regnavano incontrastate tra la musica elettronica, con Skrillex visto come divinità scesa in Terra. Chiunque si sarebbe quindi aspettato un album duro, pesante ed estremamente orientato a questo tipo di generi. Nel 2010 era uscito Derezzed, brano singolo dei Daft Punk, per la colonna sonora di TRON: Legacy che venne considerato l’anteprima del nuovo progetto. Niente di così lontano. RAM è un perfetto mix di musica revival anni ’70/80 mischiati al funk elettronico che ha reso famosi i Daft Punk.
Mentre tutti aspettavano il messia della musica elettronica, RAM sancisce invece la brutale fine dell’electro e dei generi affini. I Daft Punk non furono gli unici ad allontanarsi dall’elettronica di quel momento, i Justice (considerati i “figli” artistici) ne avevano già preso le distanze con Audio, Video, Disco nel 2011 ricevendo però aspre critiche (addolcite col tempo fino a riconsiderare totalmente il disco) per aver snaturato il loro sound. Per i Daft Punk fu diverso.
Un album per tutti ma soprattutto per loro stessi.
Ben 8 anni dall’ultimo lavoro in studio Human After All e tantissimo materiale registrato insieme ad alcune figure chiave della musica dance anni ’70/80. I Daft Punk volevano inserire quel sound nel loro disco, quelle sonorità che amavano e che li hanno portati al successo grazie alla riproposizione sotto forma di musica house a fine anni ’90. La figura chiave è stata senza alcun dubbio Nile Rogers e la sua chitarra ma all’interno di RAM possiamo trovare un’altra leggenda della musica: Giorgio Moroder.
Il dj e producer italiano fu chiamato dal duo francese per una registrazione particolare. Avrebbe dovuto parlare di se stesso e della sua incredibile storia di fronte a 3 microfoni. Inizialmente pensava che fosse per una questione di sicurezza: 2 microfoni di scorta in caso uno non funzionasse correttamente. In realtà ognuno di essi proveniva da un’epoca diversa, da un decennio essenziale per la vita dell’artista, come a rappresentare il passato, il presente e il futuro. Giorgio by Moroder è un inno d’amore per un’artista incredibile che ha dato tanto alla musica e agli stessi Daft Punk.
L’album ha quindi gli aspetti più canonici del revival. In più RAM avrebbe dovuto comprendere sia i migliori crismi del passato che quelli del presente, ma non solo. Al suo interno possiamo trovare inserimenti jazz, classici e pop a impreziosire e rafforzare l’intero disco. Differentemente dal passato infatti, i Daft Punk si sono vestiti da compositori e producer oltre che da esecutori. In Ram possiamo trovare infatti una quantità spropositata di collaborazioni, tutte chiaramente supervisionate e gestite dal duo. Grazie a questo ampliamento degli orizzonti, RAM è un disco complesso anche a livello prettamente musicale e compositivo. Ma non è ancora tutto.
Dietro al concept.
I fraseggi jazz di Giorgio by Moroder, la commistione di fiati e archi di Touch e il pop sfrenato di Get Lucky sono solo la punta dell’iceberg di quest’album allo stesso tempo eterogeneo e omogeneo. Una delle principali forze di RAM è infatti l’aver toccato molte sonorità e generi senza mai allontanarsi dallo stile inconfondibile dei Daft Punk. Perfino quando alla voce ci sono Pharrell Williams, Paul Williams o Julian Casablancas il disco è perfettamente attribuibile al duo francese anche dopo poche note. Nessuna delle 13 canzoni (14 contando anche la bonus track nell’edizione giapponese) è di troppo. Dal primo secondo fino alla conclusione le melodie accompagnano l’ascoltatore con una sapiente alternanza di brani dal ritmo completamente diverso. Da citare senza alcun dubbio è l’estrema cura nel mixing dei suoni che risultano sempre molto corposi senza mai lasciarsi catturare dalla terribile Loudness War.
Random Access Memories è quello che dice di essere.
Ciò che abbiamo scritto fino a ora non basta però a dare all’album l’epiteto di capolavoro. Come ciliegina sulla torta, RAM è un concept album che viene curato in ogni aspetto, partendo proprio dal titolo. Random Access Memories sta a indicare il nome dei componenti elettronici che troviamo in pc, cellulari e simili. Una sorta di similitudine fusa al sillogismo quella definita nell’album che vede i Daft Punk, in veste di robot, disporre chiaramente di una RAM e far parte di un insieme più grande, quello del pensiero che va al di là dell’identità e della memoria, intesa come mero banco dati personale. Ogni essere, in questo caso che sia umano o un robot, dispone di una memoria. Considerando una vita intera, la memoria potrebbe assomigliare a quella di un hard-disk, quando invece risulta volubile, la morte la porta via completamente come succede spegnendo un pc con la RAM.
L’intero album si basa infatti su frammenti di memoria, sulla coscienza di se stessi e degli altri. Sono ricorrenti infatti le parole memories, remember, la rappresentazione della memoria come stanze e lo sguardo al passato, il presente e il futuro. Oltre a impreziosire la scrittura dell’album, questo filo conduttore lo rende ancora più omogeneo e coerente con se stesso. I Daft Punk prendono quindi la loro strada iniziata con Discovery e ampliata in Human After All evolvendola alla massima potenza, sia musicalmente che concettualmente, in questo ultimo album.