Donato Carrisi torna in libreria con La Casa delle Voci, ultimo romanzo edito da Longanesi che arriva a poco più di un mese di distanza dal debutto cinematografico de L’Uomo del Labirinto, ultima fatica registica di Carrisi, tratta dal suo omonimo romanzo.
E proprio in occasione dell’attività stampa del film e della successiva intervista che ci ha concesso, Donato Carrisi ha avuto modo di parlare della paura, di quel sentimento che, volenti o nolenti, influenza la nostra vita e, in qualche misura, ne decide la traiettoria.
Ed è la paura il sentimento preponderante che trasuda dalle pagine dello scrittore: maestro del thriller italiano, questa volta Donato Carrisi decide di raccontare al suo pubblico una storia dove non c’è un indagine di omicidio (come nel caso della Saga dei Penitenzieri), né di persone scomparse (come nella serie de Il Suggeritore).
La Casa delle Voci è, piuttosto, un libro che si perde nei meandri della mente, teatro imprevedibile in cui Donato Carrisi si avventura con la sicurezza di un professionista.
La Casa delle Voci: La Trama
Pietro Geber è uno psicologo che si occupa di casi minorili a Firenze. Conosciuto come l’addormentatore di bambini, Pietro riesce a far parlare le piccole vittime di violenza o abusi utilizzando l’ipnosi. Mentre si sta occupando del caso di un bambino bielorusso adottato da una famiglia apparentemente perfetta, Pietro riceve la chiamata di una nota psicologa americana che lo avvisa che a Firenze è in arrivo Hannah Hall.
La donna ha bisogno di aiuto e, soprattutto, ha bisogno della famigerata tecnica di Pietro per scavare nella profondità della sua memoria: perché Hannah è stata forse testimone di un omicidio quando era bambina. Ma la cosa peggiore è che lei stessa crede di essere l’assassina. Pietro, quasi suo malgrado, si troverà ad accettare il compito, ma ben presto finirà in una rete di ricordi e racconti che lo spingeranno non solo a porsi domande sul confine che separata la vita dall’aldilà, ma anche a dover affrontare il suo passato e un segreto che gli sta divorando l’anima.
Con un matrimonio sereno e un bambino adorabile, Pietro verrà sempre più inglobato dalla storia di Hannah e dai racconti che la misteriosa donna fa quando è sotto ipnosi. Storie di vagabondaggi, spettri e vecchie fattorie.
L’Horror secondo Donato Carrisi
Sebbene Donato Carrisi abbia un biglietto da visita che lo inquadra nel genere thriller, non è mai esistito un suo libro che non fosse in qualche modo pervaso da un’oscurità di sottofondo. Se il Male è sempre stato al centro delle sue storie, come una mitologica creatura in grado di cambiare le carte in gioco e soverchiare un ordine solo apparente, lo scrittore ha sempre aggiunto ai suoi racconti quelle note inquietanti che obbligavano il lettore ad affrontare la lettura con la luce sempre accesa, timorosi di quello che poteva nascondersi nelle tenebre.
Donato Carrisi, dunque, è sempre stato abile a giocare con quelle paure che, in qualche modo, fanno parte dell’immaginario collettivo. Ne L’Uomo del Labirinto giocava con la paura dello smarrimento, di essere soli e impotenti in un luogo che non dava punti di riferimento. L’inaspettato, il non-prevedibile, tutto ciò che esula dalla comfort zone degli esseri umani per Donato Carrisi diventava materiale su cui erigere la sua storia, obbligando il suo pubblico a tremare, a spaventarsi all’idea che determinate cose possano rimanere a vivere negli angoli. Questo per dire che lo scrittore ha sempre avuto un certo occhio per ciò che spaventa, per le ombre che divorano e annientano.
Ma con La Casa delle Voci, per la prima volta, Donato Carrisi si avventura in maniera solida e consapevole nel mondo del genere horror. E questo è il primo grande pregio del romanzo. Gli stereotipi del genere sono tutti lì, a bollire nello sfondo: con casali abbandonate, chiese sconsacrate, fantasmi silenziosi che si celano sotto il letto e rumori che non hanno una giustificazione.
Di più: Donato Carrisi prende ciò che è famigliare, ciò che di solito ci fa sentire allegri se non proprio al sicuro, e lo riveste di un mantello oscuro, di un effetto straniante che rende ancora più spaventoso il tutto. Un esempio è l’uso che Carrisi fa de Lo Stretto Indispensabile, la nota canzone del film Disney Il Libro della Giungla. Una canzone allegra, che a molti di noi ricorda l’infanzia, di colpo diventa assimilabile ad una nenia lugubre, un insieme di note distorte disperse in una nebbia che ci fa sentire soli e abbandonati.
Ritmo e stile
Scritto con il classico ritmo incalzante tipico di Donato Carrisi – che a questo giro rinuncia al maestoso effetto a sorpresa a cui ci ha abituato in passato, dal momento che gli indizi disseminati sono tutti abbastanza chiari per giungere alla conclusione molto prima dell’ultima pagina, La Casa delle Voci è un romanzo che è impossibile “mettere giù” una volta iniziata la lettura.
Questo perché lo scrittore è stato senz’altro abile del costruire una struttura a puzzle, dove ogni capitolo è solo un tassello che si aggiunge ad una storia sempre più grande e di cui si vogliono conoscere sempre più informazioni. Il racconto procede come una sorta di mise en abyme, una storia dentro un’altra storia, e ben presto il lettore è portato a inseguire con feroce curiosità il momento in cui i vari racconti che compongono il quadro generale andranno a incastrarsi l’un l’altro.
Una struttura di questo genere, però, fa sì che alcune informazioni vengano tenute fuori dalla conclusione. Senza voler neanche lontanamente fare spoiler, basti sapere che con La Casa delle Voci Donato Carrisi mette sul tavolo moltissimi indizi e suggerimenti, ma alcune cose rimangono in sospeso, come enormi punti interrogativi che gravitano sull’esperienza del lettore. La sensazione, appena concluso il libro, è quello di aver partecipato in qualche modo ad un inganno, pur senza esserne stati del tutto consapevoli.
Un attimo dopo, però, si rimane a fissare la copertina del libro, sentendosi in qualche modo depredati di qualcosa che pensavamo fosse di nostro diritto: una spiegazione, una rassicurazione finale che, dopotutto, il mondo è quello che è.
Se da una parte può dunque sussistere un comprensibile sentimento di delusione, dall’altra è evidente che la scelta di Donato Carrisi di non spiegare tutto ne La Casa delle Voci è volto proprio ad intensificare quel senso di smarrimento e di pericolo costante che attraversa tutta la lettura.
Nessuna consolazione per il lettore
Donato Carrisi non è interessato a consolare il suo pubblico, o a raccontargli una docile storie della buonanotte. Lo scrittore è più simile a un cecchino che, una volta individuati i punti deboli e quelle zone oscure dove le nostre paure infantili ancora risiedono, non fa altro che prendere la mira e sparare a raffica.
La Casa delle Voci, in questo senso, è un romanzo che funziona alla perfezione: racconta una storia affogata nella tinta più oscura dell’horror di stampo più prettamente urbano, e lo fa senza rassicurazioni, senza patti con il lettore, senza dargli una ricompensa. È un libro che parla di morte, ma anche di nostalgia. Un libro che parla dei meandri infiniti della mente e delle molte “magie” che il cervello umano può compiere. Ma è anche la storia che ruota intorno al senso di famiglia e a come essa possa assumere moltissime sfumature, la più nera delle quali è quella che non vogliamo (o forse non possiamo) comprendere.