Il ritorno di Beck è un piccolo cosmo psichedelico dalle tinte vapor, nel quale l’artista sguazza libero e sereno
Beck Hansen in versione ultra-moderna, tra suoni retro-futuristici, ammicchi al pop e collab eccellenti. Questo è quanto si ritrova in Hyperspace, l’ultimo album dell’artista americano. Già dalla copertina, di ispirazione (fuori tempo massimo) chiaramente “A E S T H E T I C”, si intuisce la volontà del cantante di rinnovarsi. E, per inciso, è circa la centesima volta che lo fa, e lo fa bene. Perché Beck, come sa chi lo conosce e lo segue, è un artista perennemente insoddisfatto, mai pago della propria immagine e della musica; che deve sempre cercare oltre e andare dove ancora non è stato.
Ecco quindi un disco la cui musica guarda con attenzione alla scena attuale: ci sono accenni di trap, 808, auto-tune, neo-psychedelia elettronica stile Toro y Moi, synth onnipresenti e sonorità leggere che non abbiamo paura di definire pop. Ma ascoltando con attenzione si ritrova tutto quel classico eclettismo che ha caratterizzato ogni fase della carriera del nostro “loser” preferito. Hyperspace, in questo senso, si può inserire tra quei suoi album “multicolori”, come Midnite Vultures (1999), Guero (2005), e l’ultimo, Colors (2017). Non mancano, tuttavia, parecchi momenti di intimità acustica che ricordano anche i suoi album più “personali”, come Sea Change (2002) e Morning Phase (2014)