Una Storia da Cantare: l’omaggio a Fabrizio De André è una tragedia
Il 16 novembre è andata in onda su Rai Uno la prima puntata di Una Storia da Cantare. Protagonista dell'esordio: Fabrizio De André. Il risultato è stato disastroso
Sabato 16 novembre è andata in onda su Rai Uno la prima serata di Una Storia da Cantare, spettacolo in tre puntate dedicato a tre grandi cantautori italiani: Fabrizio De André, Lucio Dalla e Lucio Battisti. Protagonista di questo esordio è stato il grande poeta genovese.
Faber è per molti un punto di riferimento, un maestro inimitabile da omaggiare con le dovute accortezze. Il rischio di cadere in banalità e intavolare una semplice serata di karaoke è sempre alto, perdipiù se si ripropongono le stesse canzoni, quelle meno “scomode”, le più note al grande pubblico. Esempio lampante di tale approccio vive nella mancata presenza di Cristiano De André. Il figlio di Fabrizio aveva dato la propria disponibilità a partecipare ma la produzione non gli ha consentito di portare sul palco la canzone da lui scelta per omaggiare il leggendario genitore. L’opera in questione era La Canzone del Padre – scelta calzante – che è stata immediatamente rifiutata con una controproposta. A quel punto, Cristiano ha declinato l’invito.
Una Storia da Cantare: l’oltraggio a De André
Una Storia da Cantare ha ignorato tutti questi pericoli e ha messo in pratica tutto quello che non andava fatto. Risultato? Una serata al limite del trash con ospiti inadeguati e un conduttore, Enrico Ruggeri, completamente spaesato. Il fil rouge della puntata è una schiera di “detti e ridetti”: “De André poeta degli ultimi”, “Fabrizio amava Genova”, “il grande amore che lo legava a Dori Ghezzi“.
Proprio l’atteggiamento del grande amore di Faber ci lascia perplessi, per quanto si nutra grande stima nei confronti della Ghezzi è naturale porsi due domande sul suo operato negli ultimi anni nel gestire l’immagine del compagno. Dopo aver regalato la copia originale del testo di Bocca di Rosa a Francesco Gabbani, aver autorizzato un album pieno zeppo di cover palesemente non necessarie, contribuito a mettere in piedi una fiction (Principe Libero) che definire dimenticabile è un eufemismo, alcuni dubbi sorgono spontanei. Dopo Una Storia da Cantare, invece, quest’ultimi si tramutano in certezze: il lavoro di Dori Ghezzi sull’immagine di De André è parzialmente inadeguato.
Una Storia da Cantare ne è l’esempio fulgido. Pochi momenti possono essere salvati di questo lungo spettacolo. Citiamo le performance della PFM, sempre a proprio agio, come giusto che sia, nell’opera di Faber; Mauro Pagani in Crêuza de mä, suggestiva la location, evocativa la pioggerellina che bagna il grande autore. In parte, salviamo anche il tentativo di Morgan di tenere una lezione al pubblico generalista sulla poesia deandreiana, peccato per l’enfasi fuori luogo e la frenesia non controllata. Per il resto è stato un vero e proprio disastro, una tragedia senza fine. Tra ospiti e conduttori completamente fuori contesto, errori sui testi, comparto tecnico con evidenti problemi strutturali, l’omaggio si è rivelato un oltraggio.
La serata è parsa confezionata per un pubblico estremamente umile come se gli italiani non fossero capaci di poter assimilare un discorso più alto, più complesso. Eppure l’occasione c’era, chi meglio di De André avrebbe potuto ispirare un prodotto televisivo lontano dai soliti standard. Invece, ci siamo sorbiti la solita minestrina fatta di canzoni storpiate, arrangiamenti di dubbio gusto e interpretazioni attoriali estremamente enfatizzate.
Fabrizio De André è stato il grande assente. Pochi i momenti dedicati alle sue riflessioni, alle opere meno note, agli argomenti più scottanti. Una Storia da Cantare si è rivelata un’occasione persa, un valzer privo di originalità che tenta di ringiovanire, tramite ospiti “freschi” (Anastasio, Willie Peyote, The André), seppur bravi, non propriamente all’altezza della poetica deandreiana.
Un’immagine è stata perfetta nell’inquadrare questo ennesimo fallimento targato “mamma RAI”: la gaffe, ormai virale, di una incontrollabile Ornella Vanoni, che ha almeno il merito di averci strappato una genuina risata in mezzo ad un disastro culturale e televisivo.
Ma in fondo lo sappiamo qual è l’obiettivo: l’importante è che alla fine vinca La Canzone di Marinella, che, per carità, pur essendo un capolavoro, metterla continuamente al centro è un po’ come voler parlare della Divina Commedia ed insistere sempre su Paolo e Francesca, precludendo, in questo modo, ai più e alle nuove generazioni un mondo enorme, profondo e sempre pieno di sorprese, foriero di intuizioni necessarie ed eternamente attuali. Fabrizio De André avrebbe perdonato questo scempio senza pensarci due volte, noi no.
A questo punto non ci resta che dire: giù le mani da Dalla e Battisti.