Arriva il punto, forse definitivo, su una polemica che ha tenuto banco in questi ultimi mese. Da un lato, in un ideale ring, Martin Scorsese. Dall’altro, i cinecomics firmati Marvel. Un botta e risposta composto da dichiarazioni al vetriolo che ha diviso molti addetti ai lavori, come Robert Downey Jr, Taika Waititi nonché Ethan Coen e Francis Ford Coppola, per non parlare del pubblico.
Dopo aver corretto il tiro, il regista del recente The Irishman ha sentito il bisogno (o forse il dovere) di scrivere il suo completo punto di vista una volta per tutte. E per farlo ha utilizzato una pagina del New York Times in cui getta acqua sul fuoco, mettendo la parola fine a questo costante botta-risposta.
Ecco l’articolo completo di Martin Scorsese tradotto:
“Quando ero in Inghilterra ad inizio ottobre, ho rilasciato un’intervista ad Empire Magazine. Mi è stata fatta una domanda sui film Marvel. Ho risposto. Ho detto che ho provato a guardarne alcuni e che non fanno per me, che mi sembrano più simili a dei luna park che a dei film, intesi per come li ho conosciuti e amati nella mia vita. E che non penso che siano cinema.
Alcuni sembrano aver preso la parte finale della mia risposta come un’offesa o come la prova certa del fatto che io odi la Marvel. Se qualcuno è intenzionato a interpretare le mie parole sotto questa chiave di lettura, non posso fare nulla per farlo desistere.
Molti franchise sono fatti da persone di notevole talento artistico. Si può vedere sul grande schermo. Il fatto che questi stessi film non mi interessino è una questione di gusto personale. Se fossi più giovane e che se avessi raggiunto la maturità in un altro momento, sarei probabilmente entusiasta per questo tipo di film e forse avrei persino voluto dirigerne uno io stesso. Ma sono cresciuto in un altro periodo e ho sviluppato una concezione dei film – di quello che erano e di quello che avrebbero potuto essere – che è più lontana dall’Universo Marvel di quanto noi sulla Terra lo siamo da Alpha Centauri.
Per me, per i cineasti che ho imparato ad amare e rispettare e per gli amici che hanno iniziato a girare film nello stesso periodo in cui ho cominciato io, il cinema era rivelazione estetica, emotiva e spirituale. Riguardava i personaggi, la complessità delle persone e la loro natura contraddittoria e paradossale, il modo in cui possono farsi del male, amarsi l’un l’altro e improvvisamente confrontarsi con sé stessi. Si trattava di affrontare l’imprevisto sia sullo schermo che nella vita che il cinema drammatizzava e interpretava, ampliando il senso di ciò che era possibile nell’arte.
E quella era la nostra chiave: era una forma d’arte. Ci fu un dibattito all’epoca a tal proposito, quindi ci siamo schierati dalla parte del cinema per sostenere che fosse come la letteratura, la musica o la danza. E abbiamo capito che l’arte può trovarsi in luoghi diversi e in varie forme – in Corea in Fiamme di Sam Fuller e Persona di Ingmar Bergman. In È sempre bel tempo di Stanley Donen e Gene Kelly, in Scorpio Rising di Kenneth Anger, in Questa è la Mia Vita di Jean-Luc Godard e Contratto per uccidere di Don Siegel.
O nei film di Alfred Hitchcock. Credo che sia possibile affermare che Hitchcock fosse il franchise di se stesso. O che fosse il nostro franchise. Ogni nuovo film di Hitchcock era un evento. Essere in mezzo alla gente, in un vecchio cinema a guardare La finestra sul Cortile era un’esperienza straordinaria: un evento creato un’alchimia tra il pubblico ed il film stesso, ed era elettrizzante.
E in un certo senso, alcuni film di Hitchcock erano anche dei luna park. Sto pensando a L’altro Uomo, in cui il climax si svolge come una giostra in un vero parco di divertimenti. O a Psycho, che ho visto allo spettacolo di mezzanotte nel suo giorno di apertura: un’esperienza che non potrò mai dimenticare. Le persone sono rimaste sorprese ed elettrizzate, non certo deluse.
Sessanta o settanta anni dopo, stiamo ancora guardando questi film e ci stupiamo di fronte a loro. Ma sono i brividi e lo shock che ancora ci incantano? Io non credo. I set di Intrigo Internazionale sono sorprendenti, ma non sarebbero altro che una sequenza di eleganti e dinamiche composizione insieme a tagli di montaggio, senza le emozioni dolorose al centro della storia o l’assoluta evoluzione del personaggio di Cary Grant.
Il climax di L’altro Uomo è una grande costruzione, ma sono l’interazione tra i due personaggi principali e la performance profondamente inquietante di Robert Walker che ammaliano ancora oggi.
Alcuni sostengono che i film di Hitchcock si somigliassero tra di loro, e forse è vero – lo stesso Hitchcock ha riflettuto a tal proposito. Ma le analogie che troviamo tra i film dei franchise di oggi è tutta un’altra cosa. Molti degli elementi che definiscono il cinema per come io lo conosco sono presenti nei film della Marvel. Ciò che manca è la rivelazione, il mistero o il genuino pericolo emotivo. Niente è a rischio. I film sono realizzati per soddisfare una serie di esigenze specifiche e sono progettati come variazioni di un numero finito di temi.
Sono sequel nel nome, ma sono remake nello spirito. E ogni cosa in essi non potrebbe essere fatta diversamente. Questa è la natura dei franchise cinematografici di oggi: prodotti di ricerche di mercato, testati appositamente per il pubblico, verificati, modificati e rivisti fino a quando non sono pronti per l’uso e consumo.
In altre parole, possiamo dire che si tratta di tutto ciò che i film di Paul Thomas Anderson, di Claire Denis, di Spike Lee, di Ari Aster, di Kathryn Bigelow o Wes Anderson non sono. Quando guardo un film di uno di quei registi, so che vedrò qualcosa di assolutamente nuovo che mi porterà a fare esperienze inaspettate e probabilmente persino inimitabili. La mia concezione di ciò che è possibile narrare attraverso storie con immagini in movimento e suoni, verrà ampliata.
Quindi, potreste chiedervi, qual è il mio problema? Perché non lasciare semplicemente che i film sui supereroi e altri franchise facciano quello per cui sono stati concepiti? Il motivo è semplice. In molti luoghi di questo Paese e in tutto il mondo, i franchise sono la vostra scelta principale se volete vedere qualcosa sul grande schermo. È un momento pericoloso per la cinematografia e oggi abbiamo meno cinema indipendente che mai. L’equazione è stata capovolta e lo streaming è diventato il metodo di fruizione principale. Tuttavia, non conosco un singolo regista che non vorrebbe creare un film per il grande schermo, da proiettare davanti al pubblico nei cinema. Me incluso. E sto parlando come una persona che ha appena completato un film per Netflix.
Questo, e solo questo, ci ha permesso di realizzare The Irishman nel modo in cui volevamo farlo, e per questo sarò sempre grato. Vorrei che il film venisse proiettato nei cinema per un molto più tempo? Certo che lo vorrei. Ma non importa con chi realizzi il tuo film, il fatto è che gli schermi nella maggior parte dei multisala sono affollati da franchise.
E se state per dire che è semplicemente una questione di domanda – offerta, di dare alle persone ciò che vogliono, sono in disaccordo. Se alle persone viene dato solo un genere di cose, e viene venduto solo quello all’infinito, ovviamente ne vorranno sempre di più.
Potreste controbattere chiedendovi il perché questa gente non può semplicemente starsene a casa e guardare una cosa qualsiasi su Netflix, iTunes o Hulu? Certo che può. Ovunque ma non sul grande schermo, dove il regista o la regista voleva che il suo film fosse visto.
Come tutti ben sappiamo, negli ultimi 20 anni, l’industria cinematografica è cambiata su tutti i fronti. Il cambiamento più allarmante è però avvenuto furtivamente, nella notte: la progressiva e costante eliminazione del rischio. Molti film oggi sono prodotti perfetti, assemblati per un consumo immediato. Molti di essi sono ben realizzati da team pieni di talenti. Nonostante ciò, sono privi di una cosa che è essenziale per il cinema: la visione unificante del singolo artista. Perché, ovviamente, il singolo artista è il più grande fattore di rischio.
Non voglio insinuare che i film dovrebbero essere una forma d’arte sovvenzionata, nè che lo siano mai stati. Quando il sistema degli studios hollywoodiani era ancora vivo e in salute, le tensioni tra gli artisti e chi gestiva il buissnes erano costanti ed intense. Ma era una tensione produttiva in grado di regalarci alcuni dei più grandi film mai realizzati. Usando le parole di Bob Dylan, i migliori di loro erano “eroici e visionari”.
Oggi, quella tensione è scomparsa e ci sono alcune persone nell’ambito che mostrano un’indifferenza totale verso le necessità dell’arte, oltre a un atteggiamento arrogante e possessivo nei confronti della storia del cinema: una combinazione letale. Attualmente, purtroppo, la situazione è che abbiamo due campi distinti: abbiamo l’intrattenimento audiovisivo distribuito globalmente e poi c’è il cinema. Talvolta si sovrappongono ancora, ma sta progressivamente diventando sempre più raro. Temo che il dominio finanziario dell’uno sia usato per marginalizzare e addirittura sminuire l’esistenza dell’altro.
Per chiunque sogni di fare film o abbia appena iniziato, la situazione odierna è brutale e inospitale per l’arte. E l’atto di scrivere semplicemente queste parole, mi riempie di grande tristezza.”
Martin Scorsese per il New York Times
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