Tornare di Cristina Comencini è il film di chiusura della Festa del Cinema di Roma (#RomaFF14). La recensione di un “thriller dell’anima”, interpretato da Giovanna Mezzogiorno e la giovane rivelazione Beatrice Grannò.
Chiude ufficialmente la Festa del Cinema di Roma il nuovo film di Cristina Comencini, Tornare, definito dalla stessa regista e scrittrice romana come un “thriller dell’anima”. La stessa definizione era stata per altro utilizzata dalla Comencini per quello che resta il titolo di riferimento nella sua filmografia:La bestia nel cuore, che nel 2006 ha rappresentato l’Italia alla notte degli Oscar nella categoria Miglior Film Straniero. Non a caso, la protagonista di questa nuova tragedia al femminile è ancora Giovanna Mezzogiorno: volto che dichiara dal primo fotogramma lo stretto legame di parentela che lega Tornare a La bestia nel cuore.
Una regista che torna sui suoi passi, e ancora una protagonista che affronta la ferita originaria: il trauma che ha cambiato per sempre il corso della sua esistenza.
Giovanna Mezzogiorno, ne La bestia del cuore raggiunge suo fratello a Charlottesville, negli Stati Uniti, elabora i suoi incubi e, proprio mentre diventa madre, elabora quella verità così agghiacciante da restare sempre rimossa: il padre aveva abusato di lei, come di suo fratello, nella colpevole immobilità della madre. Cristina Comencini, che ha scritto il film con sua figlia Giulia Calenda e Ilaria Macchia, sceglie per Tornarela medesima struttura: ma questa volta, il viaggio a ritroso inizia con la morte. E il risultato è una tragedia che non trova forse alcuna catarsi, se non nella dolcezza del perdono: soprattutto, quello che la protagonista Alice dovrà trovare per sé stessa.
Sono gli anni ’90 e Alice (Giovanna Mezzogiorno) non vive più in Italia da ormai molti anni. Da quand’era una studentessa diciottenne, non era mai tornata a Napoli: città dov’è cresciuta con sua sorella Virginia (Barbara Ronchi), una splendida mamma morta ancora in giovane età (Astrid Meloni), e suo padre Adam (Tim Ahern): un militare americano, d’istanza in una tra le molte basi Nato ancora attive nell’area partenopea. Erano gli anni ’60 ma la memoria della Seconda Guerra Mondiale, della liberazione e dell’esercito Alleato sembravano lontane mille miglia dalla vivace adolescenza di Alice. Perché Alice, una volta tornata a Napoli, nella casa paterna, non dovrà semplicemente occuparsi del funerale.
Incontrerà Marc (Vincenzo Amato): uomo affascinante ma sinistro, che si è occupato con incredibile affetto e dedizione di quell’anziano generale malato di Alzheimer. Quest’uomo sembra conoscerla, conoscere più segreti di quanto non riveli. Ma soprattutto, Alice nella sua vecchia stanza incontrerà presto una strana sconosciuta, che da principio non sembra quasi riconoscere: la bellissima, giovane attrice Beatrice Grannò infatti non è altri che la stessa protagonista, che dovrà fisicamente tornare a rivivere il suo passato.
Come può una donna tanto chiusa, ferita e fragile essere stata quell’irriconoscibile ragazza ribelle? Secondo la struttura del thriller esistenziale, Tornare procede così come un giallo, ma anche una tragedia costruita all’inverso.
L’Alice di Cristina Comencini non conosce Wonderland ma cade di certo in un baratro: un viaggio oscuro e metafisico, fondato sulla lenta ricostruzione di un trauma così violento che ha cambiato per sempre una ragazza, ha ucciso la donna che poteva, doveva essere. La protagonista Giovanna Mezzogiorno diventa così l’interprete di uno smarrimento e una tristezza senza fine: lo sguardo impotente di una persona adulta, a cui resta solo la possibilità di rivedere sé stessa ragazza, poi perfino sé stessa bambina, forse per capire, forse per perdonare quell’intera famiglia, prigioniera e schiava del decoro militare e alto-borghese.
In tutti questi forse, purtroppo, c’è il vero limite del film. Naturalmente, non vi riveleremo il trauma, il momento in cui la tragedia si riavvolge su stessa e la protagonista rivede finalmente quel giorno brutale: il momento in cui la vita come la conosceva è finita, ed è iniziata una nebulosa e affannata ricerca di rinascita. Non si tratta dello stesso, drammatico tema affrontato ne La bestia nel cuore. Ma c’è ancora, comunque l’elaborazione della colpa di un padre: colpevole qui di moltiplicare il dolore con la vergogna, il senso di colpa. Eppure, nonostante lo spessore di una rappresentazione tragica e impietosa della condizione femminile, la visione di Tornare resta un’esperienza oltremodo angosciante, sofferta, dolorosa. Un dolore di cui, in compenso, non si comprende il senso, e neanche la direzione.
Il film di chiusura della Festa del Cinema di Roma è stato bocciato dalla maggior parte dei critici, perfino stigmatizzato come il peggiore dell’intera edizione.
Si tratta certo di una valutazione fondata su questa banale perplessità: perché raccontare questa storia? Perché soffrire tanto insieme ad Alice nelle tre età della sua vita? Onestamente, non abbiamo una risposta. Ma diremo che il film è comunque forte di una confezione pregevole, e soprattutto di una magnifica Napoli: ritratta attraverso una serie di inquadrature ispirate alla pittura metafisica, che eliminano persone, suoni e realtà quotidiana, per esaltare la stupefacente bellezza degli scorci.