It Comes è il nuovo film di Tetsuya Nakashima, già autore dell’apprezzatissimo Confessions (2010). Il film è uscito lo scorso anno nelle sale giapponesi e abbiamo potuto vederlo in anteprima nel contesto del 19° TOHorror, rassegna torinese dedicata al fantastico ed all’horror. Nakashima torna a dirigere un J-Horror, filone che abbiamo avuto modo di apprezzare anche in occidente negli ultimi 20 anni e che continua a stupire il pubblico non asiatico. It Comes prosegue dunque su di una strada ben tracciata, ma a modo suo.
Il film racconta la storia di Hideki e Kana, giovane coppia di sposi nell’immensa città di Tokyo. I due, dopo essersi sposati, decidono di avere un figlio. Nascerà così Chisa, e tutto sembrerà andare per il meglio, fino a quando una strana presenza attaccherà il nido di famiglia. Una presenza che pare arrivare direttamente dall’infanzia di papà Hideki, distruggendo un’apparente pace familiare. O almeno questa sembra la trama di It Comes.
It Comes: una Trama complessa
In verità Nakashima trasformerà mano a mano il film fino a mettere da parte (almeno momentaneamente) i due genitori per concentrarsi su un’altra coppia: quella composta dal giornalista Nozaki e la medium Makoto. Verso metà del film infatti il focus si sposterà su questi due personaggi accorsi in aiuti di Hideki e Kana, per mostrarci le loro storie ed i loro drammi. In questo It Comes sorprende in maniera estremamente positiva, andando a definire ogni personaggio in maniera estremamente precisa (o misteriosa, quando è il caso di farlo). Senza dimenticare il personaggio di Daigo, figura centrale nella seconda parte del film.
Nakashima fa questo perché ha bisogno di parlare di genitorialità. Per farlo ha bisogno di più nuclei narrativi (e più famiglie da studiare) per dipingere un quadro abbastanza ampio da non risultare monotematico. Il regista nipponico vuole tracciare un’opera di grande slancio su di una tematica molto calda nel cinema giapponese: basti pensare al successo riscosso in patria e non solo da un regista come Kore’eda Hirokazu che sul tema ha costruito una filmografia. O, andando ancora indietro, alle magnifiche opere di Ozu Yasujiro. Nakashima lo fa affidandosi al genere, nello specifico all’horror.
Il mostro di cui Nakashima si serve è infatti un pretesto per parlare di molto altro
Ed i temi sono tanti, forse troppi. Il film dura poco più di due ore ma sembra durare molto di più. Nuovi archi narrativi vengono aperti continuamente per permettere al regista di essere il più esauriente possibile, andando forse a creare qualcosa di troppo grande e, a tratti, tendente al caos. È forse questo il più grande difetto del film, che sembra alle volte non voler mai finire. Per fortuna resta però concentrato ed anche quando sembra andare alla deriva ritrova subito la giusta rotta, sapendo però cambiare sempre. Anche quando ci sembrerà di aver capito tutto, il film sarà pronto a cambiare le carte in tavola e rimettere tutto in discussione. Questo grazie anche ad un ritmo vertiginoso che ci trascina dapprima lentamente e poi freneticamente ad un epilogo inaspettato che chiude tutti i nuclei narrativi messi in tavola.
E poi c’è a tutti gli effetti il mostro. Un mostro veramente spaventoso, che comparirà sotto varie forme fino a farci dubitare di tutto e di tutti. La componente horror è veramente ben realizzata, con questa “cosa”, come viene definita durante il film, che ci fa rimanere sulla punta della seggiola fino alla fine del film senza usare mai scorciatoie come jump scare. Una tensione naturale che cresce, fino ad esplodere nell’ultima parte, dove il sangue schizzerà e sgorgherà a fiumi.
Un mostro che, però, si dimostrerà a tutti gli effetti dentro di noi, rendendolo nient’altro che un’allegoria del male che si può fare alle persone che più si amano, anche se spesso spinti da intenti nobili.