Se fino ad oggi pensavate che il rock fosse la “musica della chitarra” i Royal Blood vi faranno cambiare idea
I Royal Blood sono un duo rock di solo basso e batteria nato a Brighton nel 2011 da Mike Kerr (voce e basso) e Ben Tatcher (batteria), riuscito a firmare nientedimeno che con la Warner dopo pochi mesi di attività , anche grazie all’amicizia con gli Arctic Monkeys e con il loro management (Matt Helders, batterista degli AM ha persino indossato una loro maglietta ad un concerto).
Dopo vari singoli Kerr e Tatcher debuttano ufficialmente con l’LP omonimo “Royal Blood“. Ad aprirlo la dirompente “Out of the Black“, il pezzo più lungo insieme a quello di chiusura (“Better Strangers“), che definisce subito il sound e il dinamismo che caratterizza l’intero album in tutta la sua mezz’ora e rotti.
Le ispirazioni del duo sono evidenti: si sente un sacco l’influenza garage rock dei primi 2000 (si parla in particolare di White Stripes e Arctic Monkeys) nei riff catchy e up-tempo, nelle distorsioni del basso di Kerr – che impiega un’intelligente catena di effetti che lo rende quasi una chitarra alzandolo spesso di ottave con il pitch-shifter – prese in prestito dallo stoner di Josh Homme e soci (Queens of the Stone Age) – e nella potenza del drum kit quasi metal del compagno Tatcher, il tutto accompagnato dalla voce acuta ma pulita del bassista. Tuttavia, non è da escludere che i due siano fan anche dell’hard rock dei ’60s (Led Zeppelin, Deep Purple) e dei Muse.
L’affiatamento tra i due è evidentissimo e riceve una discreta spinta dalla produzione chiara, scandita e dinamica di Tom Dagelty (che, tra i tanti, ha lavorato con Pixies e Killing Joke) e Alan Moulder. Il disco è talmente ben missato da riuscire a riempire perfettamente ogni frequenza nonostante il numero degli strumenti utilizzati e sarebbe potuto essere stato tranquillamente registrato su quattro piste: ci sono praticamente zero sovraincisioni se escludiamo gli assoli di basso di Kerr.
“I’m a thousand miles from danger if I make a better stranger of you”
Royal Blood non è un disco particolarmente originale o eclettico in generale ma ha costituito sicuramente una ventata d’aria fresca nel panorama garage degli anni ’10, rinnovando i canoni del rock da radio e riportando nuovamente nel mainstream dei suoni un po’ più pesanti. Resta comunque un album fatto per la radio, per essere venduto, e lo testimoniano la durata e il carattere spedito dei dieci brani. Ciò non prescinde però, come detto prima, dalla qualità del prodotto, che risulta sicuramente sopra la media delle pubblicazioni affini del periodo.