The Doors: Strange Days, anniversario del loro secondo disco
Vi ricordate People are Strange? Il successo stratosferico dei The Doors? Bene, oggi compie 52 anni. E insieme a lui tutte le tracce di quel disco enorme e fuori dal tempo che è Strange Days. Vediamolo nel dettaglio.
Cominciamo con qualche capriccio produttivo legato a questo disco dei The Doors. Spesso dietro un grande album si nasconde un eccellente produzione. Ma ancora più spesso un grande disco può essere sfruttato per scalare le classifiche. E quando ciò non accade può risultare una sconfitta. Fu così per Paul Rothchild, produttore dei The Doors per ben 5 dischi. Considerava Strange Days il miglior disco da lui prodotto ed era orgoglioso del successo di vendita che aveva avuto, successo che si tramutò prima in disco d’oro e poco tempo dopo in disco di platino.
Eppure, a differenza dell’esordio, Strange Days non possedeva un singolo di punta scala-classifiche com’era stato Light My Fire. Ciò portò il disco “appena” al numero 3 della Us Billboard, uno smacco per Rothchild che aveva visto arrivare al numero 1 The Doors, ad oggi considerato uno dei dischi migliori di tutti i tempi. Rothchild incarnava tutte e due le personalità : il produttore astuto che cerca il successo commerciale, e il produttore illuminato che mette insieme un opera d’arte. Strange Days fu alla fine dei conti entrambe le cose.
Si cambia totalmente registro con Love me Two Times, probabilmente il brano più conosciuto del disco assieme a People are Strange. Abbiamo già parlato del basso in Strange Days e della chitarra in You’re lost Little Girl. E allora come esimersi dal parlare della batteria di John Desmore, che in questo brano viene percossa come mai accaduto prima su disco. Un suono davvero incisivo senza il quale questo famosissimo brano non avrebbe lo stesso mordente.
Brani sperimentali e aneddoti succosi
Dopo Unhappy Girl, brano dalla scrittura ineccepibile e dalle trovate innovative (alcuni passaggi della tastiera ricordano i brani mandati al contrario), si passa con Horse Latitudes sul versante sperimentale, quello affine a Revolution 9 e Carnival of Light per capirci. Il vento che soffia, una frusta che schiocca, urla e voci in lontananza. Un’organetto impazzito suona note a casaccio mentre un Morrison esaltato declama frasi sconnesse. Uno di quei brani che la maggior parte delle persone salterebbe. Facendosi del male.
Nel brano Krieger accompagna Morrison con la sua chitarra, mentre in quel frangente lo fece a piedi, suggerendogli questa passeggiata che rese Morrison euforico. “Guardò la carta stropicciata in mano e cantò il coro nella sua inquietante voce blues“. Questi i ricordi di John Desmore, all’epoca compagno di stanza di Krieger. Quello stesso ”coro” verrà poi ripreso a fine canzone dalla tastiera di Manzarek per aggiungere ancora più spessore a quest’opera d’arte.
When the Music’s Over
Dopo People are Strange, torna prorompente il basso di Luhban che introduce My Eyes Have Seen You e segna l’andamento dell’intero brano. Questa seconda traccia del lato B condensa magnificamente calma ed energia in appena due minuti e venti, lasciando subito spazio ad I Can’t See Your Face in My Mind. Il brano in questione si presenta subito più posato del precedente, il basso cede il posto alla marimba suonata da Manzarek che dona al pezzo un’atmosfera squisitamente lounge, spezzata egregiamente da intermezzi di slide guitar e tastiera.
Torna l’atmosfera jazz anche con la traccia successiva. La famosissima ending track che è probabilmente la traccia più complessa di tutte. Finora i brani non superavano i 3 minuti, mentre When the Music’s Over si presenta come una suite di 11 minuti dove succede un po’ di tutto. Dopo i primi 3 minuti, il crescendo, poi una schitarrata distorta ed effettata di Krieger che ci lascia basiti. Si riprende con il verso, ma ormai gli strumenti sono incontrollabili ed esplodono all’improvviso. Siamo al minuto 7° e l’atmosfera sembra essersi distesa. Ma ecco i feel impazziti di Densmore che spezzano la quiete.
“Vogliamo il mondo e lo vogliamo adesso“, sussurrano i membri del gruppo. Ed ecco arrivare di seguito le urla straziate di Morrison che esplodono tutte insieme per poi distendersi e riemergere verso il finale. Tutta questa magnificenza è ovviamente amalgata da Manzarek e dalla sua Fender Rhodes. When the Music’s Over è la perfetta sintesi di cosa significava essere un gruppo come i The Doors e trovarsi ancora negli anni ’60. Imbrigliati nella corrente pop ma irrimedialmente fuori da essa. Stanziati in un olimpo musicale dal quale sarà impossibile uscire.