“Who Says a Funk Band Can’t Play Rock?”, domandavano i Funkadelic di George Clinton nel 1978. La risposta esauriente a questa domanda si trova nella musica dei Red Hot Chili Peppers, e sopratutto in quello che è l’album della loro realizzazione: Blood Sugar Sex Magik. Registrato in un ritiro quasi spirituale, con il fedele Rick Rubin, il disco mette insieme tutti gli elementi del sound caratteristico della band, raggiungendo una perfezione mai toccata prima dal quartetto. Si tratta dell’album funk rock per eccellenza.
Blood Sugar Sex Magik è solo il secondo disco con John Frusciante e Chad Smith, dopo il già riuscito Mother’s Milk (1989). Tuttavia, l’intesa è già totale, e ogni strumentista fa la sua parte nel creare una canzone memorabile dopo l’altra. L’album è certo famoso per i singoli: l’inno sessuale di Give It Away, con un riff semplice e divertente, e una citazione dei Black Sabbath; l’hard alternative di Suck My Kiss, con un suono pesante quanto il piombo; la ballad intimista Under the Bridge, nella quale Anthony Kiedis per la prima volta esprime tutta quella fragilità che si ritroverà poi in canzoni come Scar Tissue.
“Look at me can’t you see all I really want to be/Is free from a world that hurts me”
L’alternative, inteso come alternative rock, emerge riportando le influenze della contemporanea scena grunge nella title track, pezzo intenso e dalla forte carica erotica, con un riff più che memorabile; ma anche nell’altra celebre ballad del disco, I Could Have Lied, uno sfogo d’amore acustico che potrebbe essere stato scritto dai Pearl Jam. Procedendo verso la cerchia sempre meno nota delle canzoni del disco, emergono il rap politico di apertura in The Power of Equality, le auto-celebrazioni di If You Have to Ask e Funky Monks, e così via.
“Funky motherfuckers will not be told to go”
Una sequela di momenti stilisticamente solidi, tutti uguali ma tutti diversi, si ritrova in Apache Rose Peacock, The Greeting Song, Naked in the Rain, The Righteous & the Wicked. Emergono, poi, My Lovely Man, sentita dedica al mancato Hillel Slovak (già omaggiato con Knock Me Down, in Mother’s Milk), e l’avventura quasi prog di Mellowship in Slinky B Major. Infine, in chiusura, il divertissement di Thet’re Red Hot, cover di Robert Johnson, che come contrasto con il resto del disco ricorda un congedo quasi analogo, quello di Right on Time alla fine di Californication.
Anthony Kiedis, il cui estro qui scopre nuove dimensioni canore, pur non dimenticando le tecniche rap, ma evolvendosi in un cantato unico e che rimarrà tutto suo; John Frusciante, il “primo ufficiale”, anima hipster del gruppo, nuovo arrivato che ha tutto da dimostrare (e lo dimostra ampiamente); Flea, che con questo album assurge legittimamente alla cerchia dei migliori bassisti del mondo, e non serve aggiungere altro; e Chad Smith, batterista potente e poderoso che fornisce l’impalcatura ritmica di ogni canzone, apportando quanto basta del rock and roll più duro e inflessibile.
Costoro, in Blood Sugar Sex Magik, raggiungono un’intesa strumentale e artistica come poche si sono viste nel panorama rock (e non) di inizio anni ’90. L’intesa ripaga, il pubblico capisce e accoglie, e con quest’album i RHCP raggiungono finalmente il successo mondiale meritato. Successo che avrà anche risvolti negativi, primo fra tutti l’abbandono di Frusciante nel 1992; ma un successo che porterà comunque il quartetto ad imporsi da lì in poi, in maniera definitiva e irrevocabile, come uno dei nomi leggendari della musica degli ultimi trent’anni.