Un album introspettivo e viscerale, contro tutto e tutti.
Il genio Trent Reznor, compositore e leader dei Nine Inch Nails, non si accontentò del favore di pubblico e critica verso il magnifico The Downward Spiral e ben 5 anni dopo uscì The Fragile. L’Halo Fourteen (così viene catalogata l’uscita del materiale dei NIN, in ordine di uscita e riedizioni) fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno.
Niente sconti, niente accomodamenti, solo voglia di proseguire un percorso, un concetto. Per quanto non sia mai stato ufficializzato dal leader della band, The Fragile è il naturale proseguimento di The Downward Spiral. Questa volta però i Nine Inch Nails propongono una formula che è decisamente controcorrente, un disco da 22 tracce (più Starfuckers, inc. inserita successivamente) in ben due dischi, in un periodo in cui la pubblicazione di un album doveva essere centellinata in base ai costi di produzione e le poche vendite in formato fisico.
Impuro come le corde.
Per quanto spesso siano irriconoscibili, l’album è composto perlopiù da chitarre e altri strumenti a corda. Durante un’intervista Tent Reznor ha dichiarato che questa scelta ha un vero significato stilistico e diegetico. Uno strumento a corda non potrà mai essere perfetto e in The Fragile questo elemento è una colonna portante. Le composizioni infatti diventano più sincere, più sporche, evidenziando impurità e fragilità.
La portata principale rimane la medesima, un rock industrial dalle striature e le influenze dei generi più oscuri e ridondanti. Nell’album infatti non mancheranno riferimenti allo shoegaze, drum and bass e metal. Le composizioni sono sempre sopra le righe e ogni brano è parte di un insieme ma vive di vita propria. Sono chiari i riferimenti al passato e Into The Void ne è l’esempio più lampante. Come indicato però sopra, The Fragile si discosta dai lavori precedenti per la sua visceralità, per una composizione tanto ricercata quanto vera, in un certo senso, più reale.
In The Fragile si iniziano a intravedere più chiare e lampanti alcune composizioni, quelle strumentali, le cui note sembrano perfette per essere inserite in un film. Uno degli esempi più riusciti è probabilmente The Mark Has Been Made. The Pilgrimage e The Day The World Went Away sono invece alle antitesi dello shoegaze. Nella prima la voce di Reznor è fusa negli strumenti, effettata a tal punto da mischiarsi e diventare parte di essi. In The Day The World Went Away troviamo invece profonde chitarre riverberate agli estremi che fanno da tappeto a una voce malinconica e dalla melodia travolgente.
La title track e la su citata Into The Void sono le tracce col maggior impatto iniziale, quelle più immediate. Tutto l’album è permeato da sonorità cupe e ridondanti, alle volte aggressive altre malinconiche e ipnotiche. The Fragile ci porta per mano in un cammino oscuro e introspettivo, un viaggio all’interno di dolorosi pensieri fatti di cristallo e pronti a frantumarsi.
Grazie alle esperienze macinate e acquisite con album come questo, Trent Reznor è riuscito a entrare nel mondo della composizione cinematografica. La prima esperienza in tale campo risale infatti a due anni dopo l’uscita di The Fragile ma non vide mai la luce nel film One Hour Photo. Solo nel 2010 in collaborazione con Atticus Ross creò la colonna sonora per The Social Network, lavoro che lo portò all’Oscar.
The Fragile non è solo una testimonianza di venti anni fa, non solo la messa in musica di un concept e di idee, è un’opera tanto importante quanto sfaccettata e complessa, che ha dato modo al suo creatore di crescere e a noi di poter ascoltare una perla della musica contemporanea. Un disco che trasuda ciò che Reznor voleva trasmettere, la fragilità di un momento, di qualcosa che può facilmente finire in pezzi.