Il nuovo album del trio californiano è un tentativo di rinnovarsi che però non riesce fino in fondo.
I blink-182 non hanno bisogno di presentazioni. Insieme a Green Day, Offspring e Sum 41 sono probabilmente tra i nomi più importanti della scena pop punk anni ’90. L’abbandono di DeLonge la band non era riuscita a riemergere con California, il precedente album. Nine vuole quindi essere una rinascita e una rivincita per rimettersi in gioco e tornare ai fasti di un tempo.
Il tentativo dei blink-182 è alquanto palese. Nelle 15 tracce del disco possiamo sentire una sorta di lotta tra il loro passato, il loro nome, e la volontà di reinventarsi. Quello che vien fuori è un disco decisamente eterogeneo che rischia di non essere né carne né pesce.
Da Darkside a Black Rain.
L’ironia e la leggerezza che contraddistingue la band da sempre è sicuramente rimasta. L’album apre con 5 brani che lottano tra loro per apparire in radio, per essere uno più pop dell’altro. Questo aspetto non è per forza negativo, le linee canore sono perfettamente studiate e arrivano immediatamente all’ascoltatore. Ciò che traspare però è una ricerca quasi ossessiva di avvicinare il punk pop dei blink-182 a una nuova generazione di ascoltatori. Il risultato è quello di ascoltare un adulto che si comporta da ragazzino.
Darkside, come avevamo già annunciato, è l’emblema di questa ossessione. A livello sonoro e musicale sembra tutto al suo posto ma la canzone suona fin troppo adolescenziale e risulta stucchevole. Happy Days e Blame It on My Mouth sono fatte della stessa pasta della precedente ma che appaiono meno “teen”. Da Generation Divide cambia l’album e cambiano le prospettive. Dopo un assaggio ironico in stile hardcore e una dimenticabile Run Away, l’album cambia passo con Black Rain. Vero, le voci di Hoppus e Skiba si confondono facilmente ma il brano è un netto passo avanti sia a livello sonoro e ritmico che stilistico.
Vecchi blink-182, nuovi blink-182.
No Heart to Speak of suona come una hit dei loro maggiori successi, rimessa a lucido e impacchettata ottimamente per il 2019. I richiami al passato sono tanti, dalla ritmica ridondante agli arpeggi. Arriva poi il turno di Ransom. Tra tutte le tracce è sicuramente quella più innovativa e sperimentale dell’album. Al suo interno possiamo trovare influenze della parte più pop della trap sulle voci mischiate alle classiche progressioni pop punk del ritornello.
Ascoltando l’intero album tutto d’un fiato risulta senza dubbi molto scorrevole pur inserendo qualche traccia superflua di cui non se ne sentiva il bisogno. Richiami al passato e sperimentazione funzionano solo in alcune circostanze ma quando succede il risultato è notevole. Sicuramente i blink-182 si riscattano in parte dopo California e questo Nine potrebbe essere una transizione per un progetto più maturo e meno forzatamente indirizzato agli adolescenti. Si sente l’influenza del lavoro di Mark Hoppus con i Simple Creatures che risulta un progetto più fresco e ispirato rispetto a Nine.