Gaspar Noé fa un enorme passo indietro. Anzi, mette proprio la retromarcia, rimettendo in discussione una delle sue pellicole più controverse, ma al contempo riuscite. Così giunge al Lido di Venezia, anticipato dalla sempre splendida Monica Bellucci, per un appuntamento con il tempo, che non ha di certo fatto invecchiare Irréversible.
Rimane infatti un ottimo film, tappa fondamentale del percorso che oggi ha portato a capolavori come Love o Climax. Allora perché portare alla Mostra una nuova versione del film? Non un reboot, non una riedizione o un remake, ma una in-version, come l’ha chiamata goliardicamente il suo autore. La straight cut che presto sarà disponibile al pubblico è infatti una provocazione, che mina alla base alcuni presupposti su cui si fonda l’originale, marcando un primato nella storia del cinema.
Le temps detruit tout
Lo scorrere del tempo, unidirezionale, ci porta inevitabilmente incontro al nostro destino. Se solo lo si potesse rovesciare, ciò che sembra essere già scritto potrebbe non accadere mai, rimanere solo un’inquietante ipotesi. Con questo gioco Irréversible, nell’ormai lontano 2002, capovolgeva la nostra cognizione del tempo, come la flying cam di Noé che gira e rigira nelle nostre iridi. Il ruolo fondamentale svolto dal montaggio prevedeva infatti che le sequenze del film venissero cucite al contrario, partendo dalla fine.
Ciò dà vita ad un dramma a mosaico, in cui ogni inspiegabile dettaglio della violenza esplosa dalle mani di Marcus e Pierre trova a mano a mano la sua risposta. La grande abilità di Noé è stata sceneggiare il lavoro inserendo di volta in volta elementi che fossero spiegati nella sequenza successiva. Una catena che si allontana progressivamente dal dramma, per concludersi in un onirico idillio lontano, dimenticato, impossibile.
A questo dramma potente ed enigmatico subentra un film che non è più Irréversible.
In questa inversion Noé opera proprio sul montaggio, riordinando i pezzi del suo puzzle in ordine cronologico. Così lo squarcio bianco sullo schermo che chiude la pellicola si ritrova all’inizio, aprendo il film e stuprando letteralmente i nostri occhi. Segue la scena in cui Alexandra legge un libro sul tempo sdraiata su di un prato. “Il libro che sto leggendo parla…parla…di un futuro che sembra essere già stato scritto”. Così lo descriverà al suo ex fidanzato Pierre e al suo uomo. Parole che se nell’originale suonavano come l’amara consapevolezza di un dramma che lo spettatore si è già lasciato alle spalle, in questa inversion hanno il sapore di un tragico presagio. Allo stesso modo la centrale scena dello stupro, che nell’originale è il climax dell’opera, in questo caso diventa solo la tappa di un ineffabile e tremendo destino.
Con questa operazione difatti Noé trasforma il suo film in una tragedia, in cui la violenza e la vendetta si consumano in una spirale senza remissione. Quando giungiamo alla fine dei rossi cunicoli del Rectum, abbiamo vissuto con empatia la rabbia di Marcus, che è montata davanti ai nostri occhi seguendo il logico concatenarsi degli eventi. Ed proprio qui che risede il problema di questa inversione. Il fascino di Irréversible risiede, soprattutto, nel continuo senso di spaesamento che abbiamo vissuto davanti alle immagini. Eliminata questa originale invenzione narrativa, rimangono pur sempre la potenza dei miracolosi piani sequenza di Noé, le abbacinanti luci rosse che si susseguono in tutto il film, la disgustosa violenza fine a se stessa. Ma non è più Irréversible.