Tornare a casa dopo un weekend come quello trascorso al TOdays Festival significa sempre portare con sé la gioia di aver partecipato ad un evento meraviglioso, condita con un po’ di quella malinconia tipica di chi sta rientrando dalle vacanze in un pomeriggio afoso di fine estate. Soprattutto, se le sue sorti sono incerte, date le ultime dichiarazioni del direttore e realizzatore di sogni Gianluca Gozzi, che ha espresso il pensiero di voler lasciare le redini della manifestazione.
La motivazione?
Gozzi ha dichiarato al Corriere Torino: «Siamo un paese dove con il massimo sforzo ottieni il minimo risultato: si punta alla sopravvivenza, senza progettualità e visione. E si chiamano festival ciò che festival non sono, ma rassegne di concerti. Gli sponsor lo sanno e non investono come all’estero, mentre gli artisti stranieri scelgono le tappe italiane per ultime, quando hanno già definito i loro tour: se arriva un’offerta migliore, ci saltano. Da questo punto di vista Torino non è un’isola felice, come qualcuno potrebbe pensare: organizzare qui non è più semplice che altrove.»
L’organizzazione di un evento di tale portata è sicuramente molto impegnativa, soprattutto se ci si ritrova a dover porre rimedio ai vari forfait che gli artisti hanno dato a pochi giorni dall’inizio del festival (i Beirut quest’anno e i My Bloody Valentine lo scorso), ma è proprio perché in Italia è così complesso progettare, che ne abbiamo un urgente bisogno.
Il TOdays Festival è necessario.
L’aria internazionale che vi si respira, l’aggregazione, la musica, gli abbracci, i sorrisi, le pelle d’oca da concerto sono vitali, sono necessari, soprattutto in un momento storico come questo. Il festival prende vita nel quartiere di Barriera di Milano; la zona, periferica, multiculturale, a tratti abbandonata a se stessa, è il set perfetto per la realizzazione di una tre giorni in cui musiche, persone e storie si incontrano intrecciandosi, libere da stereotipi e pregiudizi. La line-up di quest’anno è stata, letteralmente, una bomba: la storia della musica che si incrocia con quella del futuro, in uno spettacolo che per un intero weekend ha incantato lo sPAZIO211, l’Ex Fabbrica Incet, e il Parco Aurelio Peccei (dove gli Sleaford Mods hanno suonato tra cemento e erba alta un metro).
Si parte con venerdì 23 agosto:
Bob Mould degli Hüsker Dü inaugura lo spazio di Via Cigna, ad un orario che un qualsiasi altro artista avrebbe rifiutato, ma lui no: lui è salito sul palco, ha imbracciato la sua Fender Stratocaster e con il suono delle sue note e della sua voce ha fatto vedere a tutti come sua maestà Bob Mould dà il la ad un festival a suon di punk. Dopo di lui l’indie rock a tinte shoegaze dei Deerhunter che, capitanati da Bradford Cox, hanno attinto a piene mani principalmente dagli album Halcyon Digest (Desire Lines riecheggia ancora nelle mie orecchie) e dall’ultimo Why Hasn’t Everything Already Disappeared?, confermandosi come una delle band indie rock più interessanti del panorama mondiale.
Intanto lo sPAZIO211 si sta riempiendo, gli amici si ritrovano abbracciandosi dopo un anno, e il sole sta iniziando a calare alle nostre spalle quando Jason Pierce e i suoi Spiritualized fanno il loro ingresso in scena.
Mr. Spaceman, seduto nell’angolo destro del palco, dà il via alla sua meravigliosa performance, dove il rock graffiante di Come Together (da quel capolavoro indiscusso che è Ladies And Gentlemen We Are Floating In Space) si alterna con le ballate blues di And Nothing Hurt(I’m Your Man da brividi) e i cori gospel di una inaspettata quanto piacevole cover di Oh Happy Day.
Neanche il tempo di riprendersi dal live mozzafiato degli Spiritualized che ci ritroviamo di colpo catapultati nel mondo dai colori caleidoscopici dei britannici Ride.
A quest’ultimi è toccato il compito di rimpiazzare il posto dei non pervenuti Beirut (così come lo scorso anno toccò ai Mogwai dopo il forfait dei My Bloody Valentine). Ma sapete, quando una grande band colma il vuoto lasciato da un’altra grande band, la mancanza non si sente più di tanto. E così è stato. I Ride sono in grandissima forma e cavalcano il palco suonando pezzi dal loro ultimissimo (e bellissimo) This Is Not A Safe Place (provate a non ballare sulle note di Future Love, fallirete) e dalle loro pietre miliari dello shoegazing quali Nowhere e Going Blank Again (la potenza di canzoni come Seagull e Leave Them All Behind è più viva che mai, anche dopo quasi trent’anni).
Sabato 24 agosto:
I protagonisti indiscussi della seconda giornata sono stati senza dubbio i Low. Lo scorso anno la band di Duluth ha pubblicato uno degli album più sconvolgenti e totalizzanti degli ultimi anni, se non uno dei migliori della loro carriera. Double Negative è intriso di quella inquietudine profonda che caratterizza la loro musica da sempre, ma che con il tempo ha subito una mutazione; si è evoluta, passando dall’etereo al materiale, contaminando il melanconico slowcore che nel ’94 ci ha regalato pezzoni come Lazy (chi di voi non ha consumato la propria copia di I Could Live In Hope?) con del drone puro e sporco, nerissimo. Ed è proprio dei brani di Double Negative che la setlist è colma: Quorum; Dancing and Blood; Always Up; Always Trying to Work It Out; Fly; Disarray.
Le grandi assenti: Poor Sucker (sempre da Double Negative) e la dolce e sofferta Lullaby.
I Low lasciano il posto all’irlandese Hozier; il cantautore si esibisce davanti ad un pubblico che durante i live precedenti era nelle retrovie, ma che alle prime note di Would That I (dall’ultimo Wasteland, Baby!) si è accalcato alla transenna, cantando e ballato per l’intero concerto, fino al suo culmine durante la famosissima Take Me To Church. Poco più tardi, all’Ex-Incet, i Cinematic Orchestra si esibiranno in un live impeccabile, con il loro inconfondibile sound che intreccia l’elettronica al jazz, registrando il tutto esaurito.
Uno tra i tanti punti di forza del TOdays Festival è quella di creare una line-up che soddisfa i gusti dei nostalgici del rock anni ’80 e ’90 (nelle varie declinazioni che vanno dal post-punk allo shoegaze) aggiungendo alla proposta in cartellone un pizzico di indietronica, indie pop e funk. Ed è per questo che i Parcels e i Balthazar sono riusciti a far ancheggiare anche i più scettici tra il pubblico.
Dopo di loro, sul palco, si susseguono i live di Johnny Marr e di Jarvis Cocker. Entrambi inglesi, entrambi classe 1963: due rock star. Il primo, nella sua camicia dalle sfumature blu, infiamma lo sPAZIO211 con una setlist che spazia dai classiconi degli Smiths (commuovendo la folla comprendente almeno cinque generazioni diverse), ai brani da solista (azzeccatissima la scelta di concludere con This Charming Man, Easy Money e There Is a Light That Never Goes Out) e quelli con i progetto Electronic, fino ad arrivare ad una cover di I Feel You dei Depeche Mode.
Johnny ha stregato il pubblico, è lui il Re della serata e del TOdays Festival.
A concludere questa splendida edizione sul palco dello sPAZIO211 è l’eccentrico Jarvis Cocker, con il suo progetto JARV IS…. Altra verve, altro modo di esibirsi rispetto a Marr, ma ugualmente di grande impatto; lo spettacolo di Cocker è un mix tra il live e lo storytelling, durante il quale l’ex Pulp canta, balla e fa ballare il pubblico (a mo’ di Gioca Jouer di Claudio Cecchetto) ed interagisce con i fan senza smettere di saltare da una cassa all’altra. Ipnotico. È arrivato il momento di salutare il civico 211 di Via Cigna, per spostarsi un’ultima volta all’Ex-Incet, dove al cospetto di Nils Frahm assisteremo ad uno dei live che probabilmente resterà nella storia del festival. Festival a cui speriamo di tornare il prossimo anno, per un’altra edizione superlativa come questa.