The perfect candidate segna il ritorno della regista ai temi fondanti della sua produzione. Dopo la parentesi occidentale di Mary Shelley e Nappily Ever After, Haifaa al-Mansour si rivolge di nuovo alla sua terra e alla sua cultura. Torna a guardare con amore alla tradizione araba e islamica, sottolineandone però i drammi e le contraddizioni sociali. Da uno di questi prende vita il soggetto di The Perfect Candidate. Riallacciandosi direttamente a quello che è considerato finora il suo miglior film, La bicicletta verde, e continuando la battaglia per il genere femminile che la contraddistingue in tutta la sua poetica, l’occhio della al-Mansour torna a guardare la condizione della donna nella società musulmana.
Si tesse allora un filo rosso che collega l’arte con la vicende di Maryam, indissolubilmente intrecciate fino alla fine dell’opera. The perfect candidate vede nella musica, e in generale nel patrimonio artistico, un terreno fertile per la modernizzazione del paese tanto quanto lo sono donne come la protagonista. Ad accomunarli lo stesso spirito di ribellione nei confronti di diktat oggi messi sempre più in crisi dal confronto con il resto del mondo globalizzato, piccolo e lontano nello schermo degli smartphone.
Così, in The Perfect Candidate, l’Occidente è visto dall’altra parte del binocolo.
The Perfect Candidate sceglie di immergere completamente lo spettatore nella cultura araba proprio attraverso la musica. Quello che all’inizio rappresenta quasi uno shock culturale per via del sistema sonoro totalmente diverso dal nostro, diventa poi il mezzo espressivo che caratterizza le sequenze migliori del film. Ad illuminarle talvolta tinte ammiccanti ad un certo gusto pop per la fotografia, che certo contrastano con la luce naturale degli esterni, la quale ricorda e si riallaccia agli esordi documentaristici di Haifaa al-Mansour.
Il film contribuisce nel suo piccolo a cambiamenti di natura epocale. Ci mette di fronte al paradosso e all’assurdo quando la candidata Maryam, che deve trasformarsi in simbolo di immediata e evidente riconoscibilità , è costretta a presentarsi ai suoi lettori con il volto bendato. Purtroppo però, a scapito dell’importanza del tema, la regista non riesce sempre a creare un ritmo narrativo adeguato alla forza di Maryam, e la conduzione complessiva del film, di certo non posta a particolari sfide, non risulta particolarmente brillante. Film come The Perfect Candidate rimangono però importantissimi, soprattutto in questi festival, per la sensibilità con la quale sono capaci di affrontare questioni ben più grevi della leggera ma sempre spavalda musica del padre della protagonista, specchio dell’animo ardito e passionale di Maryam.