“Non siete riusciti a bissare Microchip Emozionale”.
Basta questo verso di Benzina Ogoshi per comprendere l’importanza e la potenza creativa che l’album riboccava. Un’eredità di un peso tale de rendere difficile conviverci. Cosa aveva di tanto speciale microchip emozionale?
Siamo nell’agosto del 1999. Il panorama musicale italiano era caratterizzato dagli ultimi bagliori della dance, la cui bandiera era portata alta da Gabry Ponte e soci. Nello stesso periodo, un giovanissimo Cesare Cremonini cominciava a registrare i suoi primi successi con i Lunapop. I Subsonica vantano l’omonimo album all’attivo, il primo. Subsonica è un album fresco, nuovo, interessante, ma solo a tratti. Era come se il disco dicesse “ehi, possiamo fare di più, ma per il momento accontentatevi di questo assaggio”. Per cui sì, piaciucchiava, ma era chiaro che ci fossero delle capacità inespresse. C’era qualche sfumatura creativa che, col sennò di poi, sarebbe diventata tipica dei Subsonica, ma si trattava di un prodotto ancora grezzo, con un buon potenziale, ma sfruttato a morsi e bocconi.
E’ solo con Microchip Emozionale che i giovani torinesi approfondiscono quelle sfumature accennate nel primo disco, consacrandoli come una delle migliori realtà creative italiane.
Il disco è particolare, diverso rispetto a tutti quelli che lo scenario propone (pur strizzando l’occhio ai Blue Vertigo), di un romanticismo spettrale. La ricerca musicale e la sperimentazione dei suoni non si spingono così in avanti come succederà nel futuro, come con Eden per es., pur tutta via presentando spunti musicali che diventeranno il marchio di fabbrica del gruppo.
L’album è un mix tra denuncia sociale e buio sentimentalismo. La penna di Max Casacci – che si nasconde dietro ogni testo – sceglie con cura minuziosa ogni singola parola, creando un lirismo cadenzato alla perfezione, oltre che denso di contenuti. L’intromissione dell’elettronica per ora è minimo, l’uso dei synth moderato. Hanno saputo coniugare l’anima più avanguardista del rock-pop come pochi.
Ma ne hanno pagato lo scotto.
“Sì, bello 8….ma Microchip Emozionale era il capolavoro“. Davvero? E basta, suvvia. Abbiamo sentito pronunciare questa frase così tante volte che quasi ci sembra paradossale che un gruppo che negli anni ha continuato a portarsi oltre con la sperimentazione sia ancora tristemente ancorato al successo del loro secondo disco. Non sono né i primi né gli ultimi, inteso. Quello che non ci è chiaro è perché certi artisti si ritrovino letteralmente schiacciati dalla grandezza di un album sì geniale, ma pur sempre un disco, come nel caso, di 20 anni fa.
E visto che, ringraziando il cielo, la musica è la cosa più lontana che ci possa essere da un cerchio perfetto, chi grida allo scandalo perché i Subsonica non siano stati in grado di replicare l’originalità e la grandezza di Microchip Emozionale pecca di limitatezza. Ricordano un po’ quei nostalgici oldies per cui il rock è morto da almeno 30 anni e che ascoltano lo stesso disco consumato degli Ac/Dc da altrettanto tempo, additando l’intera scena attuale come musichetta di bassa lega.
La musica è uno specchio: riflette l’animo dell’artista e la società che cambia. In tal senso, i musicisti sono Vate, capaci il più delle volte di cogliere le contraddizioni dei tempi con più sensibilità rispetto alla media. Dunque come possono 5 persone, che vivono emozioni diverse, in un periodo storico differente e con differenti cose da dire, poter “bissare” un precedente lavoro pur restando originali e mai ripetitivi?
Nonostante i Subsonica abbiano dato vita ad altre produzioni tanto avanguardiste quanto pregevoli, Microchip Emozionale continua ad essere l’asticella invalicabile del loro successo, il metro di paragone da affiancare ad ogni novità musicale della band. Ma è anche il disco che ha permesso alla band di essere conosciuta dal grande pubblico. Quindi è più che giusto riconoscerne la grandezza, se questo non va a demolire preventivamente i nuovi progetti.