L’album musicale, inteso come LP (Long Playing) è oggi ormai più che altro un retaggio culturale del ventesimo secolo, periodo nel quale questo formato è nato e si è sviluppato. Diciamo ormai, perché con le nuove tecnologie la limitazione di supporto che una volta costituiva il confine del concetto di album è venuta a mancare.
In rete, dove ormai la maggior parte degli utenti, soprattutto giovani, ascoltano musica in streaming, non esistono limiti di spazio: un “album” può durare tranquillamente sulle tre ore, come per esempio The Epic di Kamasi Washington, uno dei capolavori jazz del decennio.
Certo, è possibile ancora stampare e produrre su supporto fisico queste tre ore, su doppi, tripli o quadrupli album, specie finché c’è richiesta in questo senso. Ma tra non molti anni, con la scomparsa dell’eredità culturale delle generazioni che sono cresciute con gli LP 33 giri tra le mani, tale richiesta diminuirà sempre di più. A vantaggio, naturalmente, di un ascolto musicale non più limitato al (e dal) supporto, ma che potrà andare in molteplici direzioni.
Un formato, un supporto, delle limitazioni
Ci spieghiamo meglio. Quando il Long Playing (o 33 giri) nasce, a metà del ‘900, l’industria discografica è ancora in crescita. Il nome di “album” viene da quello dei raccoglitori che, in precedenza, si utilizzavano per conservare i 78 giri (diffusi nella prima metà del secolo); i quali, essendo un formato primitivo, potevano contenere circa tre minuti di musica per lato.
L’innovazione rappresentata dal 33 giri, che arriva tranquillamente ai quaranta minuti complessivi, è palese. Ed è proprio questa durata, derivata dalle capacità stesse del supporto, che diviene lo standard per i dischi musicali. Ancora oggi, un album dura mediamente, appunto, attorno ai quaranta minuti.
Il concetto di album come opera d’arte musicale per eccellenza, nell’era della registrazione, si afferma però solo negli anni ’60, con i Beatles. I quali dimostrano che, oltre che una semplice raccolta di canzoni, il disco può essere un insieme coerente di suoni, immagini, concetti, che può raccontare una storia, canzone per canzone (anche se l’idea di concept album verrà pienamente sviluppata da altri artisti) e creare un universo a sé.
Succede, per capirci, un po’ quello che avviene quando nel 1915 il film The Birth of a Nation di David W. Griffith ottiene un successo planetario: da lì, per il cinema, il formato principe sarà il lungometraggio.
Long Playing, Easy Playing, 45 giri
Anche la musica, come il cinema, prevede naturalmente formati e lunghezze alternativi: il 45 giri (lato A e lato B, due canzoni) e l’EP (solitamente quattro o cinque canzoni) sono i più diffusi, oltre all’LP, per tutta la seconda metà del secolo scorso. E anch’essi sopravvivono ancora oggi: quando parliamo di “singolo”, riprendiamo l’idea del 45 giri, anche se in modo diverso: il 45 spesso prevedeva la presenza di un lato B inedito (da cui il concetto di b-side) che non si poteva trovare sugli album regolari. Quanto all’EP (Easy Playing), è oggi più diffuso degli stessi album.
Perché? Per via delle modalità di fruizione, che non solo, passando per vie digitali, sono sempre più libere e astratte; ma sono anche sempre più user-friendly: ognuno può crearsi le proprie playlist e seguire canali personalizzati, per non parlare della possibilità di caricare su Internet la propria stessa musica.
E la medesima industria discografica sta giocando un ruolo sempre minore, almeno a livello tradizionale, venendo a mancare la necessità della distribuzione fisica degli album: numerosi artisti ormai auto-producono i loro album in casa, o addirittura in camera da letto, con il computer.
Perché si continua a parlare di album?
Ma allora perché si continua a parlare di “album”? Perché si insiste a dire: “Quando esce il nuovo album di quell’artista?” Per il motivo sopra spiegato: si tratta di un retaggio culturale. Retaggio che tuttavia sta assumendo forme sempre più sciolte, e pare destinato a scomparire. Già quasi tutti gli artisti pop contemporanei, per esempio, hanno capito che ha più senso, a fini strettamente commerciali, pubblicare numerosissimi singoli a breve distanza l’uno dall’altro, anziché lavorare su interi album.
Questo perché il successo degli artisti dipende sempre più dal numero di streaming, e si crea molta più sensazione tenendo il pubblico costantemente “nutrito”: questo è il modo in cui una cantante come per esempio Ariana Grande riesce da diversi anni a dominare costantemente le classifiche.
Ciò si fa soprattutto in ambito pop e rap, meno negli ambienti indie e rock. C’è poi l’elettronica, che va spesso in direzione completamente opposta: nel 2018 gli Autechre, celebre duo musicale inglese attivo dagli anni ’90, hanno pubblicato le NTS Sessions 1–4, il loro ultimo “album”. Il virgolettato è d’obbligo, perché si tratta esattamente di 480 minuti (otto ore) di musica ininterrotta. Altro che i quaranta minuti di un LP degli anni ’70.
Un concetto sempre più vacuo, che sta scomparendo
Insomma, oggi parlare di “album” musicale ha sempre meno senso, dato che il concetto sta scomparendo assieme al supporto e al formato. Si potrebbe dire: ma c’è stato un enorme ritorno del disco in vinile, negli ultimi anni. Vero, ma si tratta probabilmente di un “ritorno di fiamma” nostalgico, che rappresenta più una parentesi occasionale che una svolta o un ritorno alle origini.
Questo perché il medium cambia a seconda delle modalità di fruizione, e queste ultime, oggi, non possono essere “limitate” all’ascolto domestico con un giradischi: le persone vogliono ascoltare musica ovunque, subito, su mobile, in metro, in auto, scegliendo la canzone che vogliono, e senza dover “cambiare disco” una volta trascorsi quei quaranta minuti. Come può, di fronte a tutto questo, il nostro vecchio album sopravvivere?