Diego Maradona: l’uomo diviso tra il ragazzo del Barrios e il mito
Asif Kapadia dipinge Maradona in modo affascinante, dividendolo in due essenze, quella del ragazzo di Buenos Aires e il mito creatosi a Napoli, capace di distruggere la sua innocenza.
Maradona e Diego. La star e il bambino. Uno strano caso alla Dr. Jeckyll e Mr. Hyde per el Pibe de oro”, che come il dottore si trova costantemente strattonato tra due identità tanto lontane quanto affascinanti.
Questo è il ritratto che il premio Oscar Asif Kapadia ha voluto dipingere per raccontare la star più discussa della storia del calcio, Maradona. Dopo il successo riscosso con i due documentari Amy (Oscar al miglior documentario) e Senna il regista ha deciso di addentrarsi in un personaggio ancora più complesso e spigoloso da raccontare, sia nei pregi che nei difetti. Il documentario Diego Maradona (stasera su Rai 3 alle 21:30) presentato in piazza grande per il Prix du Public al Festival di Locarno, ha riscosso un discreto successo riuscendo a raccontare un personaggio dai mille volti.
Accompagnato da un’ottima colonna sonora disco anni ’80, il cruscotto di un auto si muove per le strade di Napoli, alternato alle immagini della rottura di Diego con il Barcellona. Le auto vibrano stracolme di entusiasmo, la città è già in subbuglio; Maradona è arrivato a Napoli. La cronaca sportiva di tutto il mondo riporta la notizia, senza tralasciare qualche velata critica: “Una delle città più povere d’Italia ha comprato il giocatore più costoso al mondo”. Ci si avvia verso la conferenza stampa di presentazione e in pochi minuti ogni tema del documentario viene definito. Il suo estro, il suo animo esplosivo, il rapporto con la malavita, i successi e una vita privata ricca di scandali, amore e odio; è tutto immediatamente percepibile.
Tutto riassunto in due entità: Diego e Maradona.
Le prime immagini dell’arrivo al San Paolo raccontano una storia antica, come una favola nell’antica Roma, dove un gladiatore, accolto dalle grida di un pubblico in preda all’estasi, si appresta a fare la storia e ridare lustro ad un popolo.
La conferenza stampa ha inizio ed è sufficiente una sola domanda per scaldare gli animi, in particolare quello del presidente Corrado Ferlaino. Il giornalista ha voluto domandare a Diego Maradona se sa cosa sia la camorra e come le sue lunghe mani arrivino anche nel calcio. La domanda è ritenuta offensiva e pretestuosa e il giornalista viene allontanato. Ma è solo un assaggio che preannuncia quello che sarà il rapporto di Maradona con quel mondo malavitoso, in particolare con Carmine Giuliano e la sua famiglia.
Ma non mancano i tanti personaggi positivi all’interno di Diego Maradona, come Fernando Signorini, preparatore atletico del Pibe che lo aiutò a diventare il migliore calciatore al mondo. Fernando è la prima voce nel documentario a farci pensare a due entità distinte per riuscire a raccontare Diego Armando Maradona. Da una parte il Diego cresciuto a Villa Fiorito – Barrios umile e pieno di droga di Buenos Aires – un ragazzo pieno di insicurezze e paure, con nella testa e sulla cabeza sempre un pallone, colmo di passione; e dall’altra Maradona, il personaggio che lo portò ad uscire da quella paura, a diventare un moderno San Gennaro per Napoli e a guidarlo verso la perdizione. È lo stesso Signorini a dirlo:
“Con Diego sarei andato fino alla fine del mondo, ma con Maradona, non avrei fatto un passo…“
Insieme a Signorini tanti altri personaggi dell’universo calcio: Gonzalo Bonadeo, Daniel Arcucci, Alberto Bigon, Corrado Ferlaino e Ciro Ferrara.
Il racconto si sposta così dai tanti avvenimenti calcistici che hanno contraddistinto gli anni ’80, al raccontare una realtà italiana come Napoli, totalmente travolta dal talento e dall’entusiasmo Maradoniano. Si passa dai mondiali di Messico ’86, con la mano de dios contro gli inglesi, simbolo di rivincita sportiva dopo il conflitto delle Falkland, seguita dal capolavoro. Gli 11 tocchi più famosi della storia del calcio su un grande schermo, con una telecronaca di marca argentina da brividi. Un gol che è storia e lo rimarrà fino a quando esisterà il calcio. Daniel Arcucci parla di Argentina – Inghilterra come la partita perfetta per raccontare Diego e Maradona; genio e sregolatezza, odio e amore, un fenomeno puro e un uomo non sempre onesto con se stesso e gli altri. Dopo aver vinto il mondiale emerge ancora di più questa differenza, per alcuni momenti in Maradona si intravede ancora un bambino spaventato, sopraffatto dagli eventi. In quel periodo la luce dei suoi occhi cambia. Sono più spenti e privi di passione, il motivo è l’arrivo di un figlio tenuto segreto, nato da una relazione galeotta che lancerà uno scandalo lungo una vita.
Poi lo scudetto a Napoli, che lo stesso Maradona definirà come “più di un mondiale“. Una festa incredibile e il suo mito lanciato nella stratosfera, forse con troppa veemenza e un amore asfissiante. La droga così come i rapporti con la famiglia Giuliano, iniziarono a corroderlo sempre più, diventando sempre meno Diego e più Maradona. La trasformazione si stava completando in un paese dei balocchi dove le attrazioni iniziavano ad essere troppo anche per lui.
Una costante esaltazione, un perpetuo giro sulla giostra delle attrazioni italiane, tra il calcio, le feste, l’amore della gente e le brutte abitudini.
Infine Italia ’90 con la semifinale Italia – Argentina a Napoli. Un paese spaccato in una situazione assurda e l’odio dell’Italia non napoletana per il Pibe. Dopo aver estromesso i padroni di casa, l’Albiceleste perse la finale e Diego maledì l’Italia per il suo rancore. Kapadia nonostante la sua distanza dal mondo italiano riesce a raccontare in modo eccellente questa Napoli dedicata in tutto a Maradona, anche se fosse difficile comprenderla totalmente.
Il film è stato montato e creato in 3 anni, grazie ad un lungo e brillante lavoro di ricerca di materiale d’archivio esclusivo.
Tra le tante riprese Asif Kapadia è riuscito a recuperare del girato di due cameraman argentini che lo avevano filmato fin da giovane, nella speranza diventasse un campione. Un lavoro a metà tra il giornalista investigativo e il regista, per il quale Asif ha raccontato di preferire di gran lunga usare solo la voce del Diego attuale. Molte interviste da 90 minuti, questo il tempo scelto da Asif, come se il tempo perfetto per il rendimento di Diego fosse ancora legato a quel mondo così indissolubilmente suo. E la strategia sembra delle più azzeccate, perché Diego si confida, raccontando di sé e del Maradona fino in fondo e senza filtri.
Rispetto a Sennae Amy, Diego Maradona racconta un personaggio molto più complicato, ma più affascinante, proprio per il suo essere spinoso e spigoloso piuttosto che un perfetto esempio di sportivo e uomo. Se Senna era più un action hero, Diego è un ragazzo della strada, un lottatore del Barrios che vuole essere amato ma senza averti troppo vicino. Proprio questo suo vivere la strada lo metteva forse a suo agio, nello stretto rapporto con la famiglia Giuliano. Asif lo vedeva così, come un ingenuo ragazzo ansioso di poter essere amato e protetto, come se fosse ne Gli Intoccabili. Ma chi era allora il vero antagonista nella travagliata vita di Maradona? Chi permetteva di raccontare un conflitto? Se Senna aveva Prost, per Maradona poteva essere la Juventus? Poteva essere un Van Basten? Un Matthäus? Nessuno di questi poteva andare ad approfondire il personaggio di Maradona.
Il suo unico rivale è sempre stato se stesso e l’olimpo in cui Napoli lo aveva eretto. Una battaglia interna infinita.
Secondo la sorella la trasformazione ha avuto inizio già a 15 anni, quando Diego non era più Diego. Una vita fantastica e terribile caratterizzata da un grande peso sulle spalle, prima nel sostenere la famiglia e poi nel reggere il suo mito. Volendo sempre fare da solo, a modo suo. Asif Kapadia regala un documentario avvincente e inaspettato, in grado di raccontare tutto questo: L’eroe, il campione, il santo e il Dio. Tante e troppe etichette per un mito del calcio, anzi due miti, un Diego e un Maradona.