I Bon Iver hanno pubblicato in largo anticipo, un singolo dopo l’altro, il loro nuovo album.
Non è la prima volta che una band, anche per accrescere l’hype in attesa di una prossima uscita, decide di pubblicare in singoli diverse canzoni di un nuovo album, in un tempo breve. Ma i Bon Iver sono andati oltre: il loro nuovo disco, i,i, sarebbe in uscita il 30 agosto, ma tra un singolo e l’altro (dei quali parecchi pubblicati nelle ultime ore), tutto l’album è finito in streaming oggi. Che Justin Vernon abbia deciso di “lasciare andare” le proprie canzoni col contagocce, una alla volta, anziché pubblicarle tutte insieme per la data prevista? Pare proprio che sia così.
E cosa ci rimane da fare, se Vernon ha deciso di farci ascoltare in anticipo il suo nuovo album? Beh, recensirlo, naturalmente. Fin dal titolo, i,i, con la reiterazione del pronome personale “io” sembra indicare un’introspezione, per la musica dei Bon Iver, se possibile, ancora crescente. Ma potrebbe anche trattarsi di un volto umano: eye, comma (che potrebbe essere un naso), e eye. Ma stiamo interpretando. In ogni caso, non c’è nulla di casuale: lo prova il fatto che l’album sia stato pubblicato esattamente ventidue giorni prima della data prevista, e in data 8 agosto. Riferimenti a due canzoni dell’album precedente: 22 (OVER S∞∞N) e 8 (circle).
Nel disco, i suoni non si soffermano più su un semplice stile folktronico, come in 22, A Million, ma tradiscono influenze sempre più astratte e intangibili. Le sonorità non sono più categorizzabili sotto un unico genere o un unico stile, ma fanno parte di un’impalcatura musicale fatta di accenti spirituali e melancolia strumentale. Possiamo sentire sassofoni, violini, sintetizzatori, cori gospel e chitarre folk, il tutto fuso in un unico mondo. Nei testi, Justin Vernon utilizza parole fugaci, impressioni vocali, brevi versi che colpiscono per la loro semplicità ed efficienza nel riassumere concetti in teoria estremamente complessi. Vernon è un poeta sonoro, che colpisce dritto al cuore con mira stilistica infallibile.
Le canzoni sono pallide, perlacee, fragili nelle intenzioni, profonde nelle liriche. La forma stilistica, seppur, come detto, difficilmente definibile, sembra unire il meglio dei due mondi dei Bon Iver: quello indie folk dei primi due album, For Emma, Forever Ago (2008) e Bon Iver, Bon Iver (2011); e quello folktronico di 22, A Million e delle collaborazioni con James Blake e Kanye West. E sono proprio le collaborazioni, a proposito, a non mancare, simboleggiando anzi l’eclettismo e la varietà di generi toccati dai Bon Iver in quest’album: ci sono James Blake, Aaron Dessner di The National (con il quale Justin Vernon aveva già collaborato nei Big Red Machine), Bruce Hornsby, Moses Sumney e Channy Leaneagh.
Le canzoni migliori? Ci verrebbe da dire tutte, ma se proprio volete qualche titolo sul quale soffermarsi in particolare citiamo Hey, Ma, Faith, Holyfields, e Marion. Ancora è presto, e un ascolto solo non basta per farsi un’idea completa del risultato raggiunto, ma per ora possiamo tranquillamente affermare che i Bon Iver sono la punta dell’avanguardia musicale. Provenienti dal panorama indie, hanno abbattuto praticamente ogni confine musicale in brevissimo tempo, creando un universo paradisiaco di raffinata introspezione, auto-analisi musicale (e musicologica) e distruzione dell’ego. Insomma, per dirla in termini estremamente semplici, ne siamo estasiati, e non possiamo fare altro che ringraziare Justin Vernon di vivere nel nostro stesso tempo.