Fabio Rovazzi: sicuri di averlo capito davvero?

Il fenomeno di Fabio Rovazzi è molto più complesso di quel che sembra. Abbiamo provato a spiegarvelo per filo e per segno.

Rovazzi
Fabio Rovazzi
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Da ormai tre anni, Fabio Rovazzi invade le nostre radio (e le nostre playlist in streaming) con le sue perfette hit. Fin da quel primo fenomeno, Andiamo a comandare (2016), il cantante è stato al centro della scena musicale italiana. Complici infiniti progetti, che l’hanno portato a diventare anche presentatore, testimonial tv per diversi prodotti, presentatore, attore (il primo film con lui protagonista, Il vegetale, è uscito nel 2018).

Ma quella alla voce è sempre la sua dimensione principale: e i risultati sono straordinari, se si pensa che il suo enorme successo deriva solo da cinque singoli pubblicati in tre anni: Andiamo a comandare (2016), Tutto molto interessante (2016), Volare (2017), Faccio quello che voglio (2018) e naturalmente il recente Senza pensieri (2019).

Fabio Rovazzi – Andiamo a comandare, 2016

“Non so se son pazzo, o sono un genio”

Ma davvero è tutto qui? Bé, no. Dietro al progetto Rovazzi ci sono un’infinità di strategie commerciali e comunicative, messe in atto con perizia e consapevolezza, e rivolte ad un pubblico il più ampio possibile. Primo: la sottigliezza dei suoi testi. Lui stesso si autocita, si prende in giro, si impone e poi si smentisce, parlando sul serio un attimo prima, prendendo in giro tutti un attimo dopo.

Tanto per fare un esempio noto: in Tutto molto interessante, quando gli viene ricordato per l’ennesima volta il successo del suo primo singolo, lui risponde: “Sì, ma hai rotto le palle”. Oppure, altro esempio, pensiamo a quando in Volare, candidamente, Gianni Morandi afferma che il featuring gli è stato imposto, tutto perfettamente in rima e in tono con la canzone.

Fabio Rovazzi – Tutto molto interessante, 2016

“Aspetta che ti mostro il ca*** che me ne frega”

Secondo: le comparsate. Proviamo a fare un piccolo sunto di tutte le celebrità (fermandoci a quelle musicali) che in un modo o nell’altro hanno collaborato con lui: Gianni Morandi, Al Bano, Loredana Berté, Eros Ramazzotti, Emma Marrone, Nek, J-Ax, Potremmo continuare con tutte le personalità extra-musicali, da Carlo Cracco a Enrico Mentana, da Flavio Briatore a Fabio Fazio, e fino a Maccio Capatonda (Marcello Macchia). Personaggi di estrazione culturale, sociale (e politica) anche molto differente, ma tutti riuniti nel medesimo contenitore.

Lo scopo è, allo stesso modo, unire gli italiani, a prescindere da età, mestiere, provenienza, genere, preferenze. Le ultime quattro generazioni di italiani si possono così ritrovare nelle canzoni di Rovazzi; canzoni che, come pochi altri prodotti della cultura contemporanea, dimostrano il potere di annullare un gap pluri-generazionale, facendo sentire i vecchi più giovani, i giovani più maturi, e facendo divertire tutti.

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Fabio Rovazzi – Volare, 2017

“Ma questi giovani di oggi no, io ti giuro mai li capirò”

Terzo: la qualità volutamente “trash” di queste canzoni. La musica dichiaratamente “ignorante” di Rovazzi (definizione data da lui stesso, a Sanremo ’19, prima di introdurre Andiamo a comandare), trova i favori del grande pubblico proprio perché, appunto, ignorante. Lui se ne rende conto, sa che la massa apprezza la musica disimpegnata, commerciale, pop, divertente; e proprio per questo provoca il suo pubblico, lo sbeffeggia, invitandolo a cantare a memoria un testo senza averlo capito.

Infilando quindi frecciatine e stuzzicando il “guilty pleasure” pronto a sorgere all’ascolto di una musica tanto accattivante, giovane, intrigante. Che però è allo stesso tempo innocua, ballabile, moderna, divertente, non volgare. Un equilibrio delicato, raggiunto con maestria, che fa del trash un’arte e viceversa.

Fabio Rovazzi al Festival di Sanremo, 8 febbraio 2019

“Ho milioni di views, ma vivo in un monolocale”

Quarto: gli arrangiamenti e le sonorità, che sposano sottilmente rap nostrano con motivi da nostalgia eurodisco, bassi profondi da EDM contemporanea, millennium whoop stile indie pop, elettronica retrò quanto basta, e naturalmente pop maccheronico. Vocalmente, Rovazzi scivola abilmente dal flow al cantato, e viceversa; cantato che poi, negli ultimi pezzi, è sapientemente migliorato dalla partecipazione di figure come Emma Marrone.

Questo è il senso di Faccio quello che voglio: “Con questa voce qua… “, e il testo diventa un motivetto nonsense, richiamandosi ad una tradizione italiana che retrodata all’epoca del Geghegé. Il significato: tu, italiano, canti questa canzone, e ti piace, solo perché c’è una bella voce. Non te ne importa nulla del testo, degli arrangiamenti, degli accordi, del significato. L’importante è poterla cantare.

Fabio Rovazzi – Faccio quello che voglio, 2018

“E del testo tanto non ne ho bisogno”

Quinto: il personaggio. Rassicurante, normale, alle volte sfacciato, a volte timido. Lontano dal “braggadocio” (atteggiarsi) dei trapper contemporanei, Rovazzi è spesso confuso, preda degli eventi (nei suoi video), stranito, vittima lui per primo dei suoi testi e delle sue canzoni. La sua dimensione “giovane”, guadagnata con la musica e con le canzoni, si accompagna sorprendentemente bene ad un’altra dimensione, quella “famigliare”.

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Nelle pubblicità (senza citare i prodotti) lo vediamo spesso avere a che fare con “sua nonna”, o con una bambina che asserisce di continuo, in maniera alla fin fine buffa, di essere la figlia di lui. Questo è ciò che piace agli italiani delle generazioni più vecchie, quelli abituati ad un certo tipo di spettacolo e di cabaret, cresciuti magari con il famoso Carosello . Una figura, quindi, che piace a più persone possibili, e che lo fa mettendo in atto scene perfette, mirate a catturare alla perfezione, di volta in volta, questo o quel pubblico.

Fabio Rovazzi – Senza pensieri, 2019

“La posto oggi ma è una foto di ieri”

Dopo tutto questo, inutile dire che se quando sentite Rovazzi vi ritrovate a protestare, sdegnati, lamentandovi del fatto che in Italia “non c’è buona musica”, sappiate che state solo facendo il suo gioco. Perché questo è quanto lui in primis, in qualche modo, cerca di affermare. Ma ha capito che l’idea semplice della “protesta” non funziona più, comprendendo già in sé gli anticorpi degli ascoltatori che non vogliono (non hanno voglia) di sentire. Fare invece musica perfettamente commerciale, è l’unico modo, nella musica italiana, di far passare questo tipo di messaggio.

Messaggio che, ovviamente, è lì per chi lo sa cogliere: il divario è tra chi sente la musica di Rovazzi en passant, per radio, o in spiaggia, senza capirne le parole e cantandola a memoria senza pensare; e tra chi, invece, cerca di ascoltarla, senza cadere nella tentazione di rigettarla semplicemente perché “pop”, ma esplorandola e comprendendola. In questo sta la vera genialità di ciò che fa Rovazzi: l’ascoltatore deve essere, a monte del fenomeno, consapevole di sé stesso. Autocritico, cosciente che ciò che ascolta (e come lo ascolta) dipende da lui. Capito questo, Fabio Rovazzi, ve lo assicuriamo, comincerà a piacervi molto di più.

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