Torna la band islandese con un nuovo progetto che apre a nuove soluzioni salutando però alcune certezze.
Gli Of Monsters and Man arrivarono al successo con lo straordinario album d’esordio My Head is an Animal nel lontano 2012 (con l’uscita internazionale). Le loro sonorità erano straordinariamente caratteristiche fondendo un folk leggero con cadenze pop. Nel 2015 esce il secondo album Beneath the Skin che li sancisce come realtà internazionale ma che porta con sé un lieve mutamento a livello sonoro. Fever Dream, nuovo e ultimo album, riprende la strada percorsa dal suo successore, ne lima alcuni aspetti e ne abbandona alcuni, probabilmente, per sempre.
Senza mezzi giri di parole, Fever Dream è un ottimo disco. Durante l’ascolto si evince chiaramente una notevole ricerca sonora e della ritmicità di ogni singola canzone. Niente è messo a caso e tutto risulta armonioso e leggero. D’altro canto questa ricerca ha limitato la personalità che contraddistingueva le vecchie produzioni.
Dalle storie nella neve islandese alla metropoli.
L’idea che si ha ascoltando le vecchie produzioni e il nuovo Fever Dream è quella di essere catapultati da una realtà fantasiosa e dalle tinte naturali al grigiore di una città che mostra quelle foreste solo da dietro un vetro. Le sonorità non sono però monocromatiche, anzi quasi tutto l’album si regge su melodie ben ritmate e incalzanti. Nei suoni si possono sentire synth che ricordano gli ultimi periodi degli anni ’80 e gli inizi del successivo decennio.
Anche le chitarre sembrano guardare al passato mentre le ritmiche mantengono una freschezza contemporanea. La sete di revival è passata anche attraverso gli Of Monsters and Man ma, come spesso invece accade, questa soluzione non viene abusata e lascia che, seppur con evidenti differenze rispetto al passato, il disco rispetti la loro riconoscibilità.
Gli Of Monsters and Man sono rimasti senza fiati.
Un risultato notevole che porta una nuova evoluzione per la band ma che, come detto sopra, lascia alcuni pezzi importanti per strada. Se Beneath the Skin era palesemente un album di passaggio, questo Fever Dream ha la propria dimensione e si può riconoscerne tranquillamente i punti di forza. Rischia però di divenire un more of the same nel panorama pop odierno. Le canzoni sono tutte ben curate, alcune ottime per scalare le classifiche mentre altre mostrano un lato più introverso. Tutto o quasi sa però di già sentito, seppur di notevole fattura.
Alligator è la canzone che apre il disco e il primo singolo estratto. Risulta essere anche il singolo più forte per riscontrare successo verso un pubblico più ampio. Wild Roses e Wars la seguono a ruota. Seppur gli accordi di piano e i passaggi di batteria sono facilmente attribuibili alla band, si sente la mancanza dei botta e risposta tra la voce di Nanna Bryndís Hilmarsdóttir e Ragnar Raggi Þórhallsson preferendo cori e armonizzazioni nei ritornelli. Anche i fantastici fiati che si trovavano nel primo album non hanno fatto ritorno e questo porta via la magia e quel tocco di folk che aveva caratterizzato il loro successo.
Febbre di cambiamento.
Fever Dream risulta quindi un disco fresco e ben confezionato ma che allontana la band dalle proprie origini e dai suoni che l’aveva contraddistinta nel panorama internazionale. Il folk fa posto a un pop più marcato e a una ricerca di sonorità del passato. Tutto questo potrebbe portare a un pubblico più ampio come allontanare chi dagli Of Monster and Man si aspettava un disco fatto di favole e fantasia.