Rutger Hauer ci ha lasciato. Ci ha detto addio nell’anno del signore 2019 e pensare ad una coincidenza fa sorridere. Lo vorremmo ricordare tramite una piccola riflessione; un piccolo pensiero che vi invitiamo ad “allargare” con le vostre considerazioni.
Rutger Hauer, Roy Batty e l’interpretazione del personaggio
C’è una propensione naturale dell’uomo all’interpretazione. Questo lo sappiamo tutti e si rende estremamente evidente quando ci ritroviamo dinanzi ad un’opera d’arte, che sia scritta, scolpita, dipinta o filmata.
Il valore dell’interpretazione non è di facile misurazione né soggetta a giudizi granitici ma il suo valore potrebbe acquistare concretezza nel momento in cui la caliamo nel contesto di riferimento. Ad esempio prendiamo la trasposizione kubrickiana del capolavoro letterario di Stephen King: Shining. L’interpretazione del grande regista ribalta completamente il punto di vista dello scrittore donandoci una chiave di lettura che rappresenta perfettamente l’altra faccia della medaglia descritta da King nel suo capolavoro. Pur facendo arrabbiare molto l’autore originale, è innegabile che la scelta di Kubrick di capovolgere il romanzo kingiano ci ha donato non solo una trasposizione magnifica ma anche un valore aggiunto alla storia cartacea.
La stessa cosa è accaduta per Blade Runner di Ridley Scott. Il film tratto dal celebre romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick è un altro ribaltone rispetto all’opera originale. Se nel caso di Shining, Kubrick rappresentava la faccia oscura della medaglia; per quanto riguarda Blade Runner, Scott rappresenta la parte più luminosa, l’interpretazione più romantica e ottimista (ebbene sì, l’opera originale è molto più oscura). Largo merito di tale felice punto di vista va dato alla reinterpretazione della natura degli androidi, di cui Rachael e Roy Batty sono le rappresentazioni più pure. Non freddi e superbi calcolatori dalla forma umana ma esseri che anelano alla vita, una vita vera.
In Rutger Hauer questo ribaltone prende vita attraverso una intuizione che rafforza il lavoro fatto da Scott sul personaggio di Rachael o sulla presunta artificialità di Deckard. Parliamo di un lavoro di umanizzazione che nell’opera cartacea viene presentata solo come trappola e non come una vera e propria esigenza. Il ribaltone è compiuto.
La consacrazione avviene proprio nel monologo di Hauer, che di propria iniziativa riesce a inventarsi un punto di vista che lo allontana di molto dal Roy Baty (questo il nome del personaggio nell’opera di Dick) del libro, infondendo naturalezza alla visione di Scott. Quando si termina il romanzo di Dick il lettore resta interdetto, scioccato, amareggiato, deluso. Ciò non accade al termine della visione di Blade Runner, ove il sentimento persistente è un senso di universalità che riunisce tutte le creature, artificiali e non, sotto il mantello dell’esistenza, condannando le due forme di vita ad una mescolanza e una eterna ambiguità di fondo. l’androide è lo specchio dell’essere umano e viceversa.
Rutger Hauer ha dimostrato che l’interpretazione personale dell’arte può portare a felici conclusioni se accompagnata da tutte le altre interpretazioni. L’interpretazione di Hauer è all’interno della interpretazione di Scott che a sua volta si trova dentro a quella di Dick, creando un opera concettualmente tridimensionale. Il Roy Baty del libro è un duro scaltro e protettivo nei confronti della sua gente; il Roy Batty del film è un pensatore a tutto tondo, consapevole della natura dicotomica dell’esistenza. E le sue parole riecheggeranno per l’eternità.