Coez era un rapper. Ha cambiato stile e target. Ora è una popstar.
Coez è uno dei più famosi artisti pop italiani. In pochi anni ha scalato tutte le classifiche. I suoi brani leggeri, che parlano perlopiù d’amore e tematiche affini, vengono trasmessi ogni giorno dalle principali radio.
Tuttavia, in un passato (neanche tanto remoto) è stato un rapper. E lo è stato quando la parola “rapper” non era ancora così inflazionata.
Premessa: lo scopo di questo articolo non è criticare a prescindere questa trasformazione, ma provare a comprenderla. Non sono passati poi così tanti anni dalla pubblicazione del primo disco, Figlio di nessuno. Eppure, nei brani di È sempre bello, quel Coez sembra lontano anni luce.
La metamorfosi di Coez non è avvenuta in un colpo solo, ma ha avuto anche una fase intermedia nella quale l’artista non era più un rapper, ma non era nemmeno una popstar per teenager. Per tale ragione possiamo suddividere la breve carriera dell’artista in tre differenti fasi: 1. Fase rap (2009): Figlio di nessuno. 2. Fase pop/cantautorato (2013): Non erano fiori. 3. Fase pop da hit parade (2017-2019): Faccio un casino + È sempre bello.
In principio fu il rap. Silvano Albanese, in arte Coez, si esprimeva con rime veloci e taglienti.
Figlio di nessuno è un album infinitamente lontano dal Coez noto al grande pubblico. Un disco rap in vecchio stile con beat semplici e rime dure, amare, cariche di rabbia nei confronti della società.
Il disco si apre con un intro breve contenente una citazione diRitorno al futuro. Segue il pezzo di maggior successo dell’album, intitolato Nella casa. Una canzone cruda e diretta, nella quale Coez si presenta come un rapper agguerrito, desideroso di giocare la sua partita nel mondo della musica.
Se nel primo brano è difficile trovare tracce del Coez contemporaneo, sicuramente in altre canzoni del disco si intravede qualche sfumatura del futuro Coez pop. Il ritornello di Mi sono perso è orecchiabile e mostra un’iniziale predisposizione dell’artista all’alternare strofe discorsive a ritornelli melodici.
“Sogno di uccidere il nipote del mio capo e seppellirlo in mezzo al prato con la vanga uscire dal mio stato, senza essere arrestato dall’Arma in fuga su una barca bianca dopo aver rapinato una banca”
Diventa un po’ più difficile trovare similitudini tra il Coez cinico e incazzato della title track Figlio di nessuno e il cantautore sdolcinato di brani come La musica non c’è e Faccio un casino.
Non manca nemmeno una simpatica “profezia” sul proprio futuro artistico nelle strofe di Quello che so: “Chi può dirlo qual è il posto in cui starò tra qualche anno. Magari insisto e sfondo con un disco commerciale e un branco di bambini mi daranno da mangiare”.
La fase intermedia: arrivano il pop e la celebrità, ma rimane (parzialmente) l’attitudine rap degli esordi.
L’album che sancisce il passaggio dalla gioventù rap all’età adulta (decisamente più commerciale) è Non erano fiori. Dieci brani orecchiabili che abilmente mischiano testi spensierati e riflessioni personali. Coez sembra trovare la propria dimensione ideale su basi semplici, ricche di bassi e sintetizzatore.
Il disco si apre con i versi provocatori della divertente lettera d’odio Hangover (“mia madre mi vuole sobrio, mi sveglio in hangover”), ma sfuma poco dopo nella nostalgia e nella solitudine di Lontana da me.
Dolore e voglia di combattere sono ancora tematiche importanti per Coez, ma, rispetto al periodo rap, ora si afferma con prepotenza l’amore, con tutte le conseguenze positive e negative che ciò comporta.
Il brano che meglio rappresenta questa fase di transizione è senza dubbio il singolo Siamo morti insieme. Si tratta di un testo semplice ed efficace: la fine di una relazione, la metafora del morire insieme, la paura dei cambiamenti, le fragilità e l’impotenza nei confronti del mondo.
Un esilarante commento al video YouTube della canzone si rivolge direttamente a Coez chiedendo “è dedicata al rap questa, giusto?“.
Chi è Coez oggi? Un cantautore volutamente pop che ha saputo catturare l’attenzione del pubblico.
Faccio un casino è l’album della consacrazione. Coez entra ufficialmente nell’Olimpo degli dèi del mainstream italiano. Brani come La musica non c’è e la title track Faccio un casino diventano veri e propri tormentoni. Coez offreil cocktail perfetto di romanticismo, melodia e sentimenti, senza sforare nell’eccessiva banalità (almeno rispetto alla concorrenza di gente come Baby K, Benji e Fede, Fedez, …).
L’album successivo, intitolato È sempre bello, prosegue in questa direzione e si spinge un po’ più in là verso un pop leggero e accattivante. L’enorme successo, soprattutto tra i giovanissimi, di tracce come Domenica e la title track ne è la prova evidente.
In conclusione, sarebbe troppo facile affermare solo che Coez era meglio prima. Oggi, la storiella del rapper di talento che si vende per fare soldi nel mainstream è ormai così comune e scontata che non stupisce neanche più.
Piuttosto, sarebbe interessante capire se questa metamorfosi artistica sia stata dettata soltanto dal desiderio di successo. Oppure se Coez abbia trovato, sperimentando con il genere pop, una nuova dimensione per esprimere quello che ha da dire, ampliando il proprio pubblico. E chissà, magari un giorno lo stesso Coez potrebbe rivalutare e (perché no?) anche riproporre in qualche brano lo stile rap (senza filtri) degli esordi.
Nell’attesa di scoprirlo, riascoltiamoci il flusso di rime travolgenti di Nella casa, per ricordare che Coez non è solo quel romanticone che “oggi, vuole andare al mare, anche se non è bello”.