Alla vigilia della terza stagione de La Casa di Carta vi proponiamo una recensione onesta della serie tv spagnola.
Una mattina una banda di rapinatori, vestiti con una tuta rossa da metalmeccanici della Fiom e mascherati da Salvador Dalì, irrompe nella zecca nazionale di Spagna e si mette a stampare moneta, chiaramente “a favore del popolo” e fottendosene di vincoli economici europei e spread. No, non è la prossima mossa di Salvini e Di Maio. E no, non è neanche la cosa più assurda di La Casa di carta, successone spagnolo del quale il 19 luglio uscirà la terza stagione.
Questo show ha incantato e fatto schifo in egual parte, costituendo una sorta di Muro di Berlino nei nostri aperitivi impegnati, spesso collocato subito dopo lo sfogatoio indignato per i cileni lasciati senz’acqua dalle potenti industrie produttrici di avocado e appena prima dell’avvincente toto-sushi. Per chi scrive è un brillante, benché sfilacciato, incontro tra la soap spagnola e il crime comedy hollywoodiano, una simpatica telenovela di guardie e ladri. Molti conoscenti l’hanno demolita, su tutti l’amico queer aristocratico P: “La casa di carta è un Paso adelante per ragazzi di buona famiglia che ce l’hanno fatta”. Ma tutti noi, haters e fan, juventini e napoletani, quelli del #teamDaenerys e quelli del #teamSansa, zii austeri e nipotini sculettanti, l’abbiamo definita “surreale”.
“Il surrealismo è un movimento letterario e artistico che vuole esprimere una realtà superiore, fatta di irrazionale e di sogno e che vuole rivelare gli aspetti più profondi della psiche”, così Wikipedia sull’etica ed estetica alla base de La Casa di Carta, che infatti ha nel pittore surrealista Dalì la sua icona.
Il surreale casting della banda
Gli otto rapinatori scelti dal Professore per la mega rapina populista sono decisamente improbabili. Ma in quale banda criminale si trova una figa atomica un po’ Eva Kant un po’ Lara Croft come Tokyo, che nel mezzo dei preparativi del colpo del secolo trova il tempo, l’ardore e la lingerie giusta per svezzare il nerd ingenuo pirata informatico (Rio) chiaramente palestrato e belloccio e pure innamorandosene?
Nella vita reale Tokyo é la stagista fresca di vaghi studi economici che prima viene riconfermata in azienda, poi diventa assistente del direttore, quindi sua amante, dunque sua moglie, infine l’ereditiera. E un capo squadra affascinante e ironico come Berlino? Uno così a Cosa Nostra non durava cinque minuti, tradito dai troppi congiuntivi e le pose equivoche.
Che poi Berlino, figlio illegittimo di Lupin III e Manuel Agnelli, comunista, malato terminale, intonante Bella Ciao che neanche a Livorno il 25 aprile, era l’ennesimo papa straniero della sinistra italiana. C’è la panterona Nairobi, pupa dura ed esperta di contraffazione, ma pure desiderosa di riconquistare la maternità perduta, scoparsi il Professore e istituire il matriarcato.
O Denver (perché questa città?), delinquente semi analfabeta ma anche sensibile ometto cresciuto senza madre, e pure benefattore e playboy da situazioni estreme. Figure sorprendenti per noi che, con le fotine dei pregiudicati sui giornali, come rapinatori abbiamo “conosciuto” solo grossi pezzi di carne con occhi vitrei simili a cinghiali affetti da sonnambulismo, magrissimi allucinati, vecchi satiri dalla bocca spalancata come un tonno in pescheria, palestrati pieni di cicatrici dallo sguardo minaccioso, e baldanzosi ragazzini super tatuati e dalle orecchie catarifrangenti a causa degli orecchini.
E le quote rosa della cronaca nera? Donne cannoni simili a nutrie, magre streghe da balera, incazzate ragazzine sospese tra I ragazzi dello zoo di Berlino e Suburra, e volgari cessi ambulanti rispetto alle quali la Scianel di Gomorra appare la Nicole Kidman di Moulin Rouge.
E invece qui, ad armeggiare con mitragliatrici, bombe, tipografie e corde, una fascinosa e complessa compagnia di giro che neanche alle feste del grande Gatsby. Per non parlare del Professore, la mente del colpo, erede universale di Gandalf, Leonardo da Vinci e Che Guevara. Ovviamente pure lui segnato da un’infanzia difficile, una lunga malattia, con un amorevole padre rapinatore buono da vendicare e un piano sognato e realizzato con più solerzia e ingegno del conte di Montecristo.
Il Professore, così geniale, colto, sognatore, un po’ Peter Pan, un po’ Robin Hood, ma pure seduttore, comunista, pacifista e romanticone. Nel buen ritiro criminale nel casolare di Toledo con gli improbabili allievi richiamava il cugino bravo del prof de L’Attimo fuggente. Gli unici che somigliano a veri criminali sono Oslo ed Helsinki, non a caso due slavi. Però mettere due rapinatori feroci e coerenti in una rapina sembrava troppo e quindi uno dei due muore subito senza aver mai parlato prima e l’altro si scopre un cucciolotto queer.
Guardie e ladri da soap opera
Ma il Professore, pur capace di essere invisibile, organizzare un piano diabolico e intercettare live la polizia, non aveva fatto i conti con la stupidità umana. Se la legge numero uno di questo Fight Club da rapinatori era il divieto di avviare relazioni dentro il gruppo, ecco subito Rio e Tokyo scopare come adolescenti in gita scolastica, e da questo un sacco di guai.
Ad esempio la bella Tokyo che, incredibilmente liberata (da due misteriosi slavi apparsi all’improvviso, per gli autori i veri delinquenti vengono dai Balcani) dalla detenzione post cacciata dal gruppo perché ribelle, sceglie di tornare alla zecca assediata dalla polizia per rivedere il suo Rio, cavalcando una moto tipo Tom Cruise in Mission Impossibile, e sfrecciando figa e impunita tra gli spari degli agenti. E quindi tu sei la latitante numero uno di Spagna e anziché sfangarla, torni nella scena del crimine, sfrecciando alla Valentino Rossi dei tempi d’oro, a farti sparare, per uno che hai conosciuto qualche mese prima e che ancora puzza di latte e piange pensando a mamma.
Questa scelleratezza causa la morte di un compagno (Mosca, padre di Denver, chiaramente non un semplice delinquente ma uomo saggio e operoso, indignato con le cose che fa e con un grande segreto). Poi c’è quello che non brucia la scomodissima macchina del prof per tenersi i soldi della rottamazione, quell’altro che lascia la traccia perché doveva andare a una festa a tutti i costi, il Professore stesso che si innamora della commissaria di polizia incaricata del caso, e via dicendo. Per non parlare delle tensioni dentro la banda, con continue risse, insurrezioni e cambi di linea, con la zecca di Spagna diventata la sede del PD. A un certo punto tra i rapinatori affiora perfino la battaglia politica di genere e l’istituzione del matriarcato, con Nairobi nelle vesti di Laura Boldrini.
Sono tanti gli abbagli dei rapinatori, per ignoranza o per libido. O per coerenza surrealista. Ma la polizia non riesce ad approfittarne. D’altronde l’ispettrice Raquel, chiaramente figa e in lotta con l’ex marito e collega che la picchiava prima di mettersi con sua sorella e provare a portarle via la figlia, è una donna nervosa, dal cuore in tumulto, come l’eroina di una soap brasiliana. E quindi non poteva che incontrare il Professore al bar e innamorarsene, regalandogli un gran vantaggio. Il robusto vice dell’ispettrice? Ovviamente innamorato di Raquel e geloso del Professore ma pure leale alla capa-musa fino a rischiare la morte e sabotare l’indagine. Senza tralasciare l’ex marito di Raquel, pure lui coinvolto nel caso ma fregato dal Prof in un duello para-sentimentale. Certamente non una grande pubblicità per la polizia spagnola, una combriccola ubriacata dai proprio genitali.
Gli ostaggi più odiosi di sempre
Resta il mistero su come l’eccentrico criminale riesca ad allestire laboratori da sidro in pochi minuti, minacciare la gente in russo, travestirsi ora da barbone ora da clown, fare il karateka, sedurre gente, commissionare costruzioni di tunnel, fare evadere gente, organizzare flash mob in ospedale, farsi imprigionare e poi riamare e salvare nella stessa settimana, quando noi nello stesso arco di tempo stentiamo a organizzare una pizzata.
E poi ci sono gli ostaggi e quello che succede dentro la zecca sequestrata dai rapinatori, dove si scopa più di una università occupata. Quante volte in ufficio l’assalto di gente armata coincide con la lite tra la segretaria carina (Monica) che si dichiara incinta al direttore-amante (Arturito) che si dichiara sterile? In genere il massimo brivido sul luogo di lavoro è trovare il cesso pulito o l’aria condizionata funzionante.
Anche se la segretaria ingravidata dal superiore è una delle poche cose non surreali dello show. E Denver che salva la segreteria ostaggio, la seduce e se ne innamora nella stessa giornata? E il suo duello, una Cavalleria Rusticana dei poverissimi, con Arturito per la bella Monica? E poveri noi che in ufficio di scopate tra i computer, scrivanie o lavandini neanche l’ombra. Arturito e Alison Parker sono forse gli ostaggi più odiosi, in una rapina piena di ostaggi odiosi. Il primo, il direttore della Zecca, alterna penosi momenti da Fantozzi a eroismi alla Bruce Willis dei tempi d’oro, romanticismo shakespeariano a stronzaggine acuta, contemporaneamente gli invidiamo il vitalismo in una situazione così difficile e ci spiace che non l’abbiano fatto esplodere davvero.
Forse perché il suo personaggio tutto formalità, antipatia e vizietti borghesotti ci ricordano tanto il nostro capo ufficio. Incluso il suo rapporto con la segretaria. Alison é la figlia di un diplomatico, una insopportabile bad girl uscita da una serata old school con Linsday Lohan e Paris Hilton. Alla prima scena eccola limonare e toccarsi duro nel bagno della zecca con il bello e stronzo della classe, subendo pure bullismo sessuale. Successivamente prova a sedurre gente random o a sabotare la rapina, si bacia pure con Rio e aderisce al manifesto di emancipazione femminile by Nairobi. È la (voluta dal Prof) causa scatenante del maldestro intervento dei Servizi Segreti spagnolo, perché nel delirio c’é pure un cattivone a metà fra la burocrazia sovietica e un paparazzo ricattatore. Faccia e fare da viziatella e maliziosità a palate, la bella figlia del diplomatico contribuisce a rendere odiosa la “parte offesa”, gli ostaggi, per i quali in questa serie surreale non abbiamo mai tifato.
Fughe perfette e comunismi improbabili
Dopo mille colpi di scena, capovolgimenti di fronte e scopate ecco il finale. Un tunnel per la fuga viene costruito nello stesso tempo con cui in Italia si fissa finalmente un appuntamento con un ingegnere del comune. Le centinaia di milioni stampati sono in possesso dei rapinatori, e quindi nello strano ragionamento del loro leader, del popolo. Berlino si immola cantando Bella Ciao mentre viene crivellato dalla polizia, dopo aver violentato psicologicamente, e non solo, una donna ostaggio alla quale aveva promesso amore e bottino. Una strana fine un po’ da partigiano, un po’ da maniaco.
Tokyo e il suo toy boy Rio fuggono vestiti da teen ager bimbiminkia, Denver e Monica, diventata Stoccolma e complice dei rapinatori, la sfangano pure, verso la ricchezza e la genitorialità (ma il figlio è di Arturito e lei nel casino voleva pure abortire), Helsinki ne esce vivo e arricchito pure lui e magari comprerà una buona parte delle azioni di Grindr. Raquel, lasciata la polizia, si ricorda di una battuta del Professore su un’isoletta sperduta e ne trova le coordinate chissà dove. Chiaramente si incontreranno di nuovo in un bar in mezzo all’oceano. Con buona pace della BCE, della integerrima polizia spagnola e della nostra razionalità. Cala il sipario, surrealismo.
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