Cinque anni dopo Interstellar, torna al cinema la coppia McConaughey-Hathaway in Serenity, thriller sofisticatissimo diretto da Steven Knight. Avevamo apprezzato il regista per il suo Locke, con Tom Hardy, e per molte sceneggiature come La Promessa Dell’Assassino di David Cronenberg. Le aspettative erano alte e sono state parzialmente deluse. A maggior ragione se le basi dello script erano molto interessanti. Lo sviluppo però rende vana la buona idea. Forse era troppa la carne al fuoco e la gestione è stata inevitabilmente sbagliata. Soprattutto per il voler essere una fusione 2.0 di opere della letteratura come Il Vecchio e Il Mare e Moby Dick. Andiamo con ordine e ovviamente senza spoiler giacché tutto ruota attraverso un colpo di scena fondamentale.
Siamo nell’isola di Plymouth, Baker Dill (Matthew McConaughey) è un pescatore triste e solitario con un’unica ossessione: pescare un tonno dalle dimensioni notevoli. Sembra che la sua vita sia incentrata solo ed esclusivamente su questa sfida tra sé stesso e la natura selvaggia che lo circonda. Tutto scorre in una squallida routine fatta di pochi soldi e tanto lavoro, fino al giorno che dalle acque del passato riemerge Karen (Anne Hathaway) con una tipica “proposta indecente“. Nulla a che vedere con le sfumature erotiche dell’omonimo film però. Dieci milioni di dollari in contati se riuscirà ad ammazzare il violento ed iracondo marito. Nonché patrigno di suo figlio. Vien da sé che i dilemmi etici faranno da padrone per gran parte del film finché poi non arriverà il suddetto plot twist che cambierà diametralmente tutto il film. Anche il genere stesso.
Serenity si presenta per ovvi motivi come un thriller convenzionale dalle forti tinte noir. C’è il protagonista reduce di guerra e mai tornato pienamente in sé, la classica femme fatale, che azzarda anche un impermeabile nero con cappello nascondi-viso, stile Carmen Sandiego in total black. Si potrebbe pensare di dover assistere alla solita storia che ricorda già molti thriller ambientati in barca. Tuttavia non è così. Ci sarà un ribaltamento completo, la cui primissima sequenza è già di per sé un indizio. Come detto sopra, Serenity ha un’idea di base molto sofisticata ma si perde in non pochi problemi. Da un lato prettamente tecnico, la scelta di bruschi movimenti di macchina tendono ad essere profondamente estranianti, al limite del fastidioso. Oltre che privi di senso se contestualizzati in quei determinati momenti scenici. Dovrebbero fungere da indizi ma il risultato non è quello sperato.
Solamente verso la fine si avrà un quadro completo del perché di tante scelte, e stilistiche e narrative. Il finale però non giustifica quanto visto fino a poco prima. Soprattutto con un plot twist che dovrebbe far naufragare il film in una deriva esistenzialista di dubbio gusto, scadendo però nel mare della pretenziosità . Libero arbitrio, etica, esistenza. Con un thriller sullo sfondo: difficile ma non impossibile. Facile però cadere nell’abisso del nulla.
Da questo naufragio, si salvano gli attori, compresi i personaggi secondari, nonostante manchi quella certa alchimia tra i due protagonisti. La velocità con cui ci vengono mostrati gli avvenimenti è a dir poco eccessiva non permette che lo spettatore venga catturato in toto. Paradossale per un film che vorrebbe soffermarsi e dare una risposta alla domanda delle domande: perché siamo qui?
Serenity avrebbe dovuto consacrare definitivamente la figura artistica di Knight ma purtroppo non ci riesce. Un vero peccato.