Florence: un esordio unico nel panorama indie, che “brucia” ancora oggi.
Florence Welch, classe 1986, nativa di Londra. Inutile girarci intorno: lei è il centro, il fulcro e la forza principale del progetto Florence + the Machine. Là dove “The Machine” è un termine per indicare tutti i collaboratori che in qualche modo hanno contribuito e contribuiscono al suono della band. Nel 2009, al tempo del fulminante esordio del complesso, Lungs, quei collaboratori erano: Paul Epworth, James Ford, Charlie Hugall, Stephen Mackey, Isabella Summers ed Eg White.
Nomi che oggi probabilmente potrebbero non dire nulla, ma che vanno citati, perché è con loro che Florence compone molte delle canzoni di quell’album che è già un classico. E sono loro a costruire la cornice, gli arrangiamenti, i suoni che fanno da contorno e creano il piedistallo sonoro per la voce perfetta della loro superstar.
Perché, come dicevamo, Lungs, così come l’intero organismo di Florence + the Machine, sarebbe nulla senza le vocalità incredibili della cantante che dà il nome al gruppo. Lo stile indie rock adottato aiuta il complesso a collocarsi nel panorama musicale di allora, in un periodo che vede l’esordio di gruppi come i Foals, i Two Door Cinema Club, i Mumford & Sons, gli XX. Ma le qualità vocali di Florence superano fin da subito ogni ripartizione di genere: dalle sue note esce soul, blues, rock. Energia, sentimento, introspezione, ma anche voglia di esplodere e di lasciare il segno, fin da subito. Qui c’è tutto.
Almeno due tra le canzoni di Lungs sono tra i super-classici dell’indie dell’ultimo decennio; di quelli, per intenderci, dei quali dovremo raccontare tra trent’anni ai nostri nipoti. Si tratta di Dog Days Are Over, la sconvolgente canzone di apertura, e Rabbit Heart (Raise It Up), la seconda. Da qui, già capiamo che l’album non sarà come tutti gli altri; e infatti non lo è.
Dal rock and roll di Kiss with a Fist e Drumming Song, all’inquietante blues/soul di Girl with One Eye, e fino allo sfogo commovente di Hurricane Drunk. Niente è banale, gli arrangiamenti funzionano esattamente come accompagnamento per la voce di Florence che, com’è giusto, è sempre in primo piano. Si arriva a You’ve Got the Love, una cover (del 1986) anch’essa famosa, e degna conclusione di un album che non si lascia dimenticare.
Certo, è vero che Florence + the Machine raggiungeranno l’apice stilistico solo con Ceremonials (2011). Ma è anche vero che Lungs impone fin da subito quella della Welch come una delle voci femminili più importanti, imponenti e preziose del nostro tempo, e non solo in ambito indie rock. Un album, quindi, che acquista importanza proprio retrospettivamente, a constatare la crescente statura artistica e l’immancabile estro che mai, in questi anni, sono venuti a mancare a Florence e ai suoi collaboratori. Che Lungs rimanga, prima di tutto, a testimonianza di questo.