Surrender è il terzo lavoro dei Chemical Brothers: sia troppo che troppo poco considerato.
Reduci dall’esorbitante successo di Dig Your Own Hole (1997), Tom Rowlands e Ed Simons, ossia i Chemical Brothers, si affacciano alla fine del millennio come uno dei principali nomi della scena elettronica non solo inglese, ma mondiale. Assieme ai colleghi The Prodigy e Fatboy Slim, il duo svetta sull’onda dello stile detto big beat, tipicamente inglese: una fusione omogenea di techno e house, che mescola equamente entrambi gli stili senza soffermarsi su nessuno dei due. Altro leitmotiv, almeno per il duo di Manchester, i featuring di numerosi artisti importanti, che spesso e volentieri vengono dalle parti del britpop. Surrender, del 1999, è il terzo capitolo nella saga dei fratelli chimici, e comprende tutto ciò. Un continuo perfetto dei precedenti dei due, con suoni che ne proseguono e completano la ricerca musicale.
Surrender viene spesso ricordato come l’album di Hey Boy, Hey Girl, super-hit dell’estate 1999 e ancora oggi probabilmente pezzo più noto del gruppo. Ma in questo disco c’è molto, molto di più, a cominciare dagli altri singoli: la techno asettica e computeristica di Music: Response, l’omaggio Beatlesiano di Let Forever Be (assieme, per la seconda volta, a Noel Gallagher), e la lunga odissea atmosferica di Out of Control. Poi, i featuring: oltre a Gallagher, abbiamo Bernard Sumner dei New Order, gruppo al quale ogni musicista elettronico inglese deve tutto; Hope Sandoval dei Mazzy Star, nome centrale dell’alternative inglese di pochi anni prima; e Jonathan Donahue dei Mercury Rev.