C’era il bisogno di riscattare Apocalypse, di tornare ai fasti di First Class e Giorni di un Futuro Passato. Un bisogno che ha creato molta pressione su Dark Phoenix, anche per via del fatto che è tratto da una delle saghe di fumetti più importanti e belle nel genere della nona arte. Per ovvi motivi di messa in scena in primis, il film si distacca parzialmente dal fumetto. E Simon Kinberg ci mette la faccia, passando anche alla sua prima regia dopo innumerevoli sceneggiature. Tra cui il secondo filone degli X-Men.
Archiviato Apocalisse, gli X-Men sono “costretti” ad andare nello spazio. per salvare degli astronauti da una strana tempesta solare che li sta per raggiungere. Una missione apparentemente suicida ma il professor Charles Xavier (James McAvoy) è riuscito finalmente a far entrare i suoi ragazzi nelle grazie della società tutta che finalmente ha smesso di guardarli con paura e diffidenza. Il passo però è più lungo della gamba e qualcosa va storto.
La missione si conferma suicida e JeanGrey, interpretata dalla bravissima Sophie Turner, viene investita da questa particolare tempesta solare. Fortunatamente sopravvive ma qualcosa dentro di lei la sta facendo cambiare. E qualcuno vuole prendersi il suo potere, nettamente aumentato dopo l’incidente. In altre parole, onde evitare spoiler, ci sarà una vera e propria caccia alla Fenice, la quale inizierà a scoprire cose del suo passato che non la renderanno del tutto contenta, per usare un eufemismo. L’alchimia tra il confermatissimo e perfetto cast vacillerà non poco. Tante, forse troppe, le frizioni tra i mutanti che vedranno in Xavier e nella sua morbosa volto di far accettare i mutanti, la causa principale della follia di Fenice.
Ripetere due piccoli capolavori come i primi due capitoli di questa tetralogia era molto complicato. Viceversa era molto facile non cadere negli errori di Apocalypse. In questo contesto, Dark Phoenix si colloca esattamente nel mezzo, preferendo non osare piuttosto che tentare di intraprendere una via meno sicura ma sicuramente più coraggiosa. Il film decide quindi di rimanere nella safe zone degli stilemi classici del genere, però senza mai scendere in profondità . Il che non deve essere visto necessariamente come un male. DarkPhoenix mette in scena quello che deve essere messo in scena e raccontato. Quello per cui gli X-Men sono stati creati ossia raccontare lo sviluppo dell’essere umano in età adolescenziale. In tal senso, l’ultimo capitolo porta sullo schermo questa filosofia a pieno, mostrando la ricerca d’equilibrio interiore che c’è stata in ognuno di noi. E che non molti sono riusciti a trovare.
Il microcosmo interiore di Fenice, caratterizzato da domande e questioni esistenziali su bene e male, viene trasportato anche al macrocosmo del collettivo che l’aveva presa sotto la sua ala protettrice. Il processo formativo diventa quindi la pietra fondante di DarkPhoenix. L’azione viene sempre affiancata dal pensiero dalla riflessione, nel classico connubio equilibrato. Cosa non di poco di conto, considerata anche l’esistenza della via ancora più facile tutta CGI e stupore visivo. Ora è tempo di voltare pagina ed attendere l’arrivo del nuovo ciclo dei mutanti, i NewMutants. Intanto però potremo sempre guardare con una certa nostalgia questa saga composta da ben dieci film in cui, fortunatamente, quelli belli superano quelli mediocri. Cosa che non tutte le saghe possono vantare.