Risulta da subito un pezzo molto intimo, pregno di quelle atmosfere a cui Calcutta ci ha ormai abituato. Pochi strumenti a fare poche cose e ad accompagnare pochissime parole. Il testo è infatti veramente corto, e ciò rende necessario analizzarlo strofa per strofa, frase per frase.È piuttosto difficile coglierne un significato se lo si analizza per intero.
Il testo.
Ci sono come al solito riferimenti a una figura femminile non ben specificata, anche se in questo caso le figure sono due. Compare infatti per due volte un riferimento alla madre del protagonista (che possiamo intuire sia lo stesso Calcutta), entrambe le volte per sottolinearne il malumore. Causa di questo malumore sembra essere proprio quella generica ragazza che non si trova mai ”fuori ad ogni porta”, che rende dubbioso il protagonista tanto da contraddirsi (”in fondo io sto bene”).
Il finale.
Compresa nel testo, c’è anche la parola che anticipa l’outro della canzone, completamente avulsa dal contesto: la parola ”sigla”. A questo parola segue il palese click di una barra spaziatrice del computer che fa partire una sezione di fiati, piano e tastiera. Con la nota sorda di una percussione si conclude questa parte strumentale piuttosto piacevole all’udito, e quindi la canzone.
Il brano non è decisamente una novità nel repertorio “Calcuttiano”, ma non risulta affatto sgradevole, soprattutto a un secondo e a un terzo ascolto. È probabile che sia la spia di un prossimo lavoro più che una sorta di contentino per coprire l’assenza di nuove uscite, ma è ancora troppo presto per affermarlo.