Ma la ricerca scientifica non si ferma solo all’esplorazione dei buchi neri. Secondo campo di indagine è la possibilità di far nascere bambini sani durante viaggi spaziali al 99% della velocità della luce, facendoli sopravvivere alle diffuse radiazioni universali. Tra rapporti complessi e tormentati tra i cosmonauti, tra le difficoltà tecniche di mantenere in vita un feto in condizioni così singolari, accade il miracolo: Willow. Sei un essere speciale e mi piace le dirà Monte (Robert Pattinson). Willow è unicità più che rarità . Un essere che invece di partire dal “particolare” per giungere al “generale”, fa un percorso inverso, quasi mistico. Non è un caso che il neonato sia una bambina, non è un caso che secondo campo di ricerca sia la generazione di nuovi esseri.
Claire Denis riesce a veicolare un messaggio femminista e profondamente umano attraverso un genere che ci ha abituato ad esplorare i temi più controversi legati alla vita. L’essere umano trova la sua ragion d’essere nella riproduzione (e nel sesso, il cui accostamento alla fantascienza ebbe risultati felici già con Ma gli androidi sognano pecore elettriche?), fulgido esempio di come la vita riesca a resistere anche nelle più aspre avversità , si fa spazio a calci e pugni, emerge e trionfa anche nello spazio siderale. E allora le donne sono motivazione, mezzo e fine dell’esistenza umana, mentre l’uomo è guardiano di questo grandioso miracolo.
L’interpretazione attoriale è intensa. Robert Pattinson e Juliette Binoche pongono in essere due grandi prove, supportate da quelle secondarie degli altri attori, che riescono a mantenere un pathos altissimo grazie alla verace rappresentazione dei limiti umani donando il genuino isterismo che ogni “prison movie” necessita, e di cui ve ne accorgerete in un paio di scene chiave. La riproduzione dei buchi neri è tra le migliori di sempre, realistiche quanto il magnifico Gargantua di Interstellar, grazie soprattutto all’eccellente resa della forma sferica del corpo celeste, caratteristica spesso messa in secondo piano dal mondo cinematografico. Impressionante e curiosa la somiglianza del secondo buco nero con M87 (il film è precedente), vale a dire quello “fotografato” recentemente dalle nostre agenzie spaziali. La lunga gestazione dell’opera (ben dieci anni) è stata dovuta, infatti, anche al profondo studio che regista e attori hanno affrontato per rendere il film più verosimile possibile.
L’accuratezza non fa altro che accrescere la stima nei confronti dell’opera e ne esalta le licenze artistiche. Difatti, è importante chiarire che nonostante la massiccia mole di studio, High Life non pretende di essere un trattato di astrofisica e, come naturale che sia, adotta alcune soluzioni prettamente al servizio dell’Arte sacrificando in questo modo parte dell’esattezza scientifica.
Minimaliste le scene in astronave e in spazio aperto. Le tute e le stanze sono asettiche e molto verosimili così come l’intero design del film (ad opera dell’artista danese Olafur Eliasson), che acquista armonia visiva anche attraverso la pulizia dell’immagine della camera ad alta definizione. In proposito, la fotografia del film risulta decisamente riuscita grazie ad una commistione di tecniche. L’utilizzo sia della pellicola che del digitale pongono in essere un contrasto visivo armonioso. Le scene sulla Terra beneficiano della granulosità del 16 mm risultando un piacevole bilanciamento all’artificiale limpidezza del digitale.
Protagonisti indiscussi di questo approccio sono senz’altro i colori, che in High Life ricoprono un ruolo fondamentale. Il succedersi di saturazione e desaturazione trova il proprio compimento nell’alternanza di pellicola e digitale innalzando la palette di colori come uno dei punti di forza del film. Proprio per esaltare il colore, gli ultimi minuti sono stati girati in 35 mm, in questo modo si è ottenuta un’immagine più organica e meno artificiale donando alla scena finale una vitalità calda e più poetica.
L’utilizzo di più tecniche lo ritroviamo anche nei cambi di aspect ratio. Il film è stato girato principalmente in 1.66:1 allo scopo di esaltare l’effetto claustrofobico; mentre per i minuti conclusivi si passa ad un più ampio 1.85:1 con lenti anamorfiche, soluzione che si rivela perfettamente in linea con le scene mostrate, che acquistano in questo modo una ampiezza evocativa a simbolo di una agognata liberazione. Nel mezzo, ritroviamo un rapporto di 1.33:1. Queste poche scene sono state girate con una vecchia videocamera utilizzata per i test e che la regista apprezzò moltissimo. Impossibilitata, però, ad usare la macchina per l’intera durata del film decise comunque di tenere alcuni girati. Il risultato sono delle particolari scene che aggiungono un riuscito effetto verità .
“L’aspetto del cielo. Quando si è sottoposti ad una velocità elevata, la posizione apparente dei diversi oggetti cambia, così come i loro colori. Ciò è dovuto alla relatività ristretta e lo si vede in una scena del film. In realtà , le cose si svolgerebbero più lentamente e qui sono nettamente accelerate. Ma il fatto che tutte le stelle del cielo, comprese quelle che si trovano dietro la nave, si vedano dopo un certo tempo «in avanti» è reale. Inoltre, la luminosità di queste stelle sarebbe sempre più intensa, per effetto Doppler. Quando la nave va quasi alla velocità della luce, tutto il cielo è «concentrato» in un punto quasi infinitamente brillante e in avanti, il resto del cielo è nero. Come appare essenzialmente nel film.”
Ipnotica la scena in cui vediamo il procedere della nave tra le stelle, ove sembriamo arretrare pur andando avanti e di cui Monte non riesce a sopportarne la vista per la sua singolarità che fa cadere le granitiche certezze della nostra mente (certezze fisiche e filosofiche).
Non aggiungiamo altro, lasciamo a voi (non appena il film uscirà nelle nostre sale) “snocciolare” le altre chiavi di lettura che il film propone, fatevi guidare dall’opera verso una profonda riflessione, che probabilmente per molti lascerà il tempo che trova, ma che per altri potrebbe risultare una piacevole e proficua attività .
In conclusione, High Life è un inchinarsi dell’uomo dinanzi al cosmo e, allo stesso tempo, è l’inchinarsi del cosmo dinanzi alla vita.
N.B. Chi scrive non ha mai usato la parola “capolavoro” a sproposito. Poi, sta a voi decidere se fidarvi o meno, care scimmiette.
AGGIORNAMENTO: il film sarà nelle sale italiane dal 6 agosto 2020.
Scheda Tecnica
Lingua originale
inglese
Paese di produzione
Francia, Germania, Regno Unito, Polonia, Stati Uniti d’America
Un cosmonauta solitario cresce su una nave spaziale una bambina appena nata. Mentre quest’ultima cresce e impara in questo singolare contesto, il film ci mostra il destino dell’equipaggio e la storia della spedizione.
High Life: Trailer
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