Ode a Game of Thrones: recensione della stagione finale con tutti pro e contro

Il sipario sull'ultima stagione di Game of Thrones si è chiuso definitivamente ed è il momento di tirare le somme.

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Game of Thrones. Ma prima di tutto, A Song of Ice and Fire.

Tutto ha avuto fine, esattamente come aveva avuto inizio nel lontano 1991, quando George R.R. Martin iniziò a dar vita alla saga che ha fatto sognare e farà sognare ancora milioni di persone in tutto il mondo. La circolarità è indubbiamente il parametro che più ha contraddistinto quest’ultima stagione, dai suoi albori fino alla sua conclusione. Il cerchio ha trovato una sua quadratura, portando a compimento dei percorsi iniziati, nei casi fondamentali, già nella prima stagione di Game of Thrones, andata in onda nel lontano 2011.

L’ottava e ultima stagione è stata certamente la più criticata e parodiata, fra grossolane dimenticanze sul set e sceneggiature ritenute ben lontane da quanto visto negli anni precedenti. Tuttavia ritengo che, al netto di alcuni elementi che non possono essere esenti da critiche, Benioff e Weiss abbiano fatto in realtà un buon lavoro con ciò che avevano a disposizione. E con quest’ultima frase non intendo certo il budget, certamente degno delle migliori produzioni hollywoodiane, ma mi riferisco al tempo.

I due showrunner si sono dovuti confrontare con un cast che ha lavorato per ben dieci anni quasi esclusivamente a questa serie e i cui membri avevano ormai il desiderio di dedicarsi ad altro. Fa’ male dirlo, ma come in qualsiasi progetto di successo e durevole nel tempo, il rischio per i protagonisti sarebbe stato quello di essere etichettati per molti anni come Jon Snow, Daenerys Targaryen o Cersei Lannister e avere una credibilità limitata in qualsiasi altro ruolo. Non sarebbe la prima volta d’altronde, infatti basti pensare a Daniel Radcliffe, aka Harry Potter, ben lontano dai fasti dei bei giorni da maghetto nel magico mondo creato da J.K. Rowling.

Immediata conseguenza di queste considerazioni è la differenza di valore assoluto fra la sceneggiatura e il soggetto all’interno delle ultime due stagioni di Game of Thrones. La sceneggiatura degli ultimi due capitoli dello show ha dovuto fare i conti proprio con il poco tempo a disposizione per tirare le fila del discorso e dare una degna conclusione a uno degli show televisivi più amati e seguiti di sempre. Sull’altare della necessità di concludere in maniera forzata, sicuramente qualcosa in merito alla sceneggiatura è stata sacrificata e ne parleremo anche qui.

Ciò che invece mi sembra assolutamente meritevole di apprezzamento, soprattutto per quanto detto fino ad ora, è il soggetto di serie, che ha trovato, praticamente per ogni personaggio, una conclusione ragionata e portata avanti da diversi anni, a giudicare dal finale di serie, dopo un equilibrato, anche se non eccelso, approfondimento delineato anche in quest’ultima stagione, spesso a discapito della tanto invocata spettacolarità.

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Cosa non ha funzionato nell’ultima stagione di Game of Thrones

La storyline degli Estranei

Fatte queste necessarie premesse, entriamo nel merito della vicenda. Sarebbe del tutto irrazionale pensare che ogni cosa abbia funzionato alla perfezione in quest’ultimo capitolo di Game of Thrones e che i due showrunner siano totalmente esenti da colpe. Su tutte, quella che ha maggiormente influito sui giudizi negativi, è la trattazione della storyline degli Estranei. Dopo aver assunto al ruolo di vera minaccia, il fronte dei morti è stato protagonista di una sola puntata, epica e spettacolare, nella quale il loro leader e signore della morte è stato frantumato da Arya Stark, senza aver inferto chissà quale danno, eccezion fatta per l’uccisione di Theon Greyjoy, che merita una menzione speciale per il lavoro di fino fatto nella costruzione del suo personaggio, che abbiamo odiato e amato a momenti alterni. Inoltre, a differenza di quanto in molti si sarebbero aspettati, il simbiotico rapporto fra Bran e il Night King non ha avuto alcun risvolto in quest’ultima stagione, a differenza di quanto avessero fatto presagire alcuni elementi sparsi nelle stagioni precedenti.

Nonostante questo, la scelta di D&D potrebbe essere compresa se riflettessimo su un elemento. Gli Estranei hanno sempre rappresentato una minaccia, via via crescente durante le stagioni, ma non hanno mai influito oltre un certo limite sulle scelte che hanno indirizzato la storia, per lo meno fino alla settima stagione, il cui fulcro è sempre stato costruito dalle lotte per il potere, dal gioco del trono e dai suoi intrighi di palazzo, dalla politica, dalle vicende di amore e odio, dagli scontri cavallereschi. Sono questi elementi ad aver reso Game of Thrones un fantasy non poi tanto fantasy e, probabilmente, ad averne decretato il successo planetario.

La scelta dei due sceneggiatori potrebbe essere stata influenzata proprio da queste considerazioni e, se così fosse, sarebbe una macchia meno ingombrante. Sarebbe stato interessante, tuttavia, rendere il giovane Corvo con Tre Occhi la vera minaccia per il Continente Occidentale e il Night King il suo braccio operativo, come avevamo ipotizzato qui, in modo tale da consentire a Jon Snow/Aegon Targaryen di compiere quello che molti pensavano essere il suo destino, e che per certi versi è stato, ossia salvare il mondo. Ma queste sono semplici speculazioni.

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Le profezie incompiute

Altro punto debole di quest’ottava stagione, ancora una volta frutto di una sceneggiatura realizzata per approdare nella maniera più rapida e indolore possibile al finale, è costituito dal mancato compimento di fondamentali profezie. Nella settima stagione Melisandre parla del Principe Promesso, inserendo in maniera abbastanza inequivocabile la profezia nel solco tracciato dalla futura battaglia con i morti. Tuttavia così non è stato e il ruolo di Jon Snow, come detto sopra, è stato ben altro.

Qual è il viso i cui occhi verdi Arya avrebbe dovuto chiudere per sempre? E questo un altro degli interrogativi irrisolti e che ci porteremo dietro per sempre. Dopo aver chiuso definitivamente occhi marroni, con possibile riferimento a Walder Frey, occhi blu, con certo riferimento al Re della Notte, l’ultima parte della profezia è rimasta incompleta. Nonostante in molti credessero che la giovane Stark avrebbe potuto eliminare la Madre dei draghi, cosa che, francamente, sarebbe stata irrealistica e avrebbe delineato la figura di un’ineluttabile eroina in stile Marvel piuttosto che di un’assassina provetta, il destino di Daenerys è stato ben più crudele.

Il poco tempo riservato all’approfondimento dei personaggi, in particolare Jon e Varys

Inevitabile conseguenza delle premesse poste sopra, lo sviluppo di alcuni personaggi ha sicuramente risentito delle esigenze narrative della storia. La parte descrittiva è stata così spesso sacrificata in nome di scene d’amore o sequenze spettacolari e più in generale di sviluppi della trama, che poco ci hanno detto su diversi personaggi.

Per quanto riguarda colui che sarebbe dovuto essere il legittimo erede al Trono, non è totalmente corretto parlare di vero e proprio tempo, quanto di destrutturazione della sua figura. Per ben sette stagioni Jon Snow è stato l’eroe dello show, la figura maggiormente decisionista, l’impavido uomo del Nord che ha monopolizzato l’attenzione degli spettatori, incidendo in maniera fondamentale nelle vicende dello show. In quest’ultima stagione, invece, abbiamo spesso e volentieri assistito a un Jon in difficoltà, in grado quasi unicamente di manifestare la propria fedeltà alla sua regina e davvero poco altro. Qualche sprazzo di coraggio e abilità nel combattimento visto nella terza e nella quinta puntata non bastano. Fortunatamente è arrivato un finale sensato, ma di questo parleremo fra poco.

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Se parliamo di Varys, invece, l’eunuco è stato trattato per ben tre episodi come una mera figura di contorno, per poi far tornare prepotentemente la politica e gli intrighi al centro della quarta puntata. Tuttavia ci è sembrato infelice trattare un personaggio così importante nel corso degli anni in maniera così accennata. Varys è stato uno dei principali partecipanti al gioco del trono sin dalla prima stagione e i suoi sussurri hanno avuto ricadute molto pesanti sulle vicende dei Sette Regni e per questo avrebbe meritato più tempo e insieme a lui lo avrebbero meritato le parti narrativo-descrittive che tanto abbiamo amato in Game of Thrones. Anche nel suo caso il finale riscatta parzialmente queste mancanze, rendendolo uno dei pochi, veri eroi di questa storia.

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Cosa ha funzionato nell’ultima stagione di Game of Thrones

Il secondo episodio

Veniamo adesso a quello che più ha funzionato in quest’ultima stagione. Dopo un primo episodio di assestamento, che ci ha ricordato come tutto aveva avuto inizio e dove ci eravamo lasciati, il secondo episodio costituisce quasi un unicum rispetto al resto della stagione. Il protagonista indiscusso è Jaime Lannister, che prima subisce un inevitabile processo da parte della figlia di colui che lo rese lo Sterminatore di Re, poi dialoga con il ragazzo che molti anni addietro aveva gettato da una torre e infine nomina cavaliere la donna con la quale la sua evoluzione ha potuto spiccare il volo, regalandoci uno dei momenti più emozionanti dell’intera stagione.

I dialoghi ci ricordano il Game of Thrones che conosciamo e raggiungono il loro punto più alto nello scontro verbale fra due regine che battagliano con lo sguardo, la Madre dei Draghi e la Signora di Grande Inverno. Ma non bisogna dimenticare l’ironia di Sandor difronte ad Arya e Dondarrion, lo scambio di battute intergenerazionale fra Jorah e Lyanna, ultimi orsi della casa Mormont, né tantomeno il possibile addio di Verme Grigio e Missandei, con una promessa fatta dal luogotenente della regina, che puntualmente sarà rispettata.

Con l’incalzare della paura, grazie all’avanzare dell’angoscia nei chiaroscuri di Grande Inverno, A Knight of Seven Kingdoms riesce a raccontarci perfettamente la notte prima di una guerra e l’aria grave che si respira. Proprio per questo è necessario che un folletto riunisca gli amici davanti a un focolare, con un buon calice di vino e che qualcuno canti una canzone, anzi La canzone. La sequenza in cui Podrick intona le note di Jenny of Oldstones di Florence and the Machine è certamente uno dei momenti artistici più alti di quest’ultimo capitolo, soprattutto per la forza di un testo che si rivelerà così illuminante, soltanto qualche episodio dopo.

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La regia e la fotografia del terzo e del quinto episodio

Con un budget come quello a disposizione di Game of Thrones sembra quasi pleonastico esaltare la regia e la fotografia, ma non lo è affatto. Non lo è semplicemente perché Miguel Sapochnik è un vero e proprio fuoriclasse dietro la macchina da presa. Dopo aver ricevuto un Emmy per la meravigliosa Battaglia dei Bastardi, il regista britannico è tornato all’opera per le due grandi battaglie di quest’ultima stagione, la battaglia fra i vivi e i morti e l’ultima grande battaglia per il trono e ci ha regalato degli altissimi momenti cinematografici, grazie a delle sequenze mozzafiato e meravigliose dal punto di vista fotografico.

Come dimenticare quel progressivo e inquietante spegnersi di luci seguito alla travolgente cavalcata dei Dothraki? E che dire dell’estasi che sembra pervadere gli occhi lucenti di Melisandre all’appiccarsi del fuoco lungo la trincea degli eserciti dei vivi? La sequenza finale è la ciliegina sulla torta. Theon va’ eroicamente incontro ad una morte annunciata, grazie alla quale si riscatta definitivamente, la neve batte sul Parco degli Dei al ritmo delle note di Ramin Djawadi, altro assoluto fuoriclasse, e il Night King avanza silenzioso, fermato soltanto dall’arrivo di Arya e da un fulmineo passaggio della sua daga da una mano all’altra, grazie alla quale diventa l’eroina di Grande Inverno. Il tutto accompagnato da quella che è probabilmente la migliore colonna sonora dell’intera serie.

Nella 8×05, invece, Sapochnik sembra quasi riprendere gli stilemi che avevano contraddistinto la Battaglia dei Bastardi. Il regista riesce a rendere perfettamente il clima di morte e distruzione che domina su Approdo del Re e questa volta ci mostra tutto con gli occhi di Arya. La giovane eroina fugge fra le strade della capitale e vede sangue e disperazione sui volti di tutti gli abitanti. Tenta di salvare qualcuno, ma invano. Come Jon Snow nella 6×09, viene travolta da una folla tumultuosa e sembra quasi di essere tornati alle porte di Grande Inverno, quando l’allora Re del Nord boccheggiava sotto le suole dei soldati di Ramsay Bolton. Meritorio di una menzione speciale è, infine, il tanto atteso scontro fra il Mastino e la Montagna. Due fratelli uniti dal fuoco che nel fuoco concludono la loro epica battaglia, regalando il giusto epilogo a un meraviglioso personaggio come Sandor Clegane, misto di brutalità, umana paura e dolcezza.

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L’epilogo

Eccoci arrivati al punto centrale, se non altro perché è stato e sarà il più discusso ancora per molto tempo a venire. Chi scrive è certamente uno strenuo difensore del finale di Game of Thrones per due motivi. Il primo è legato alle tempistiche forzate di cui si è già ampiamente discusso. Il secondo è invece dato dal fatto che, comunque fosse andata a finire, molti fan sarebbero rimasti delusi, poiché ognuno avrebbe voluto proiettare le proprie volontà sulla storia, in base all’amore per alcuni personaggi piuttosto che per altri. Tuttavia, fatte già tutte le premesse legate alla sceneggiatura, il finale scritto da D&D è un buon finale, anche se imperfetto. La caratteristica alla base dell’epilogo è indubbiamente quella circolarità di cui abbiamo già scritto proprio all’inizio di queste considerazioni, unita a una sana dose di coerenza, fondamentale per ogni conclusione degna di questo nome. Riflettiamo in particolare su sei personaggi fondamentali come Daenerys, Tyrion, Sansa, Arya, Jon e infine Bran.

Daenerys

La natura da conquistatrice spietata di Daenerys, ad esempio, era chiara sin dalle prime stagioni. Se vogliamo giustificare per ovvi motivi l’avallo dell’uccisione del fratello, non possiamo invece chiudere gli occhi davanti alla crocifissione dei Grandi Padroni, forse primo vero segnale di uno spirito indissolubilmente legato al fuoco e al sangue. Tuttavia se questa vocazione era inizialmente stata temperata, soprattutto grazie ai saggi consiglieri di cui la Madre dei Draghi si è circondata durante la storia, la sua follia è esplosa proprio dopo che la Distruttrice di catene ha perso coloro che le erano più cari al mondo: due dei suoi tre figli, Jorah e infine Missandei. L’unica cosa per cui valeva ancora la pena vivere era la conquista del trono, a qualsiasi prezzo, e le conseguenze sono definitivamente esplose nel penultimo capitolo della saga, che ci ha regalato una spettacolare ed efferata Mad Queen. Ma si sa’, al gioco del trono o si vince o si muore e il destino di Daeny è stato deciso proprio da quel trono che ha decretato la sua morte e che per questo è stato distrutto dal suo ultimo, sofferente figlio, prima che potesse prendere il volo verso le terre dell’Est.

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Tyrion e Sansa

Su Tyrion c’è poco da dire. Ogni re degno di questo nome non potrebbe che desiderare l’acume e l’ars oratoria del folletto di casa Lannister come strumenti al proprio servizio. Non è un caso che l’ultimo dei figli di Tywin sia stato designato come primo cavaliere per ben tre volte. Nella prima stagione da Tywin, il che è tutto dire considerato l’odio dell’uomo più ricco dei sette regni nei confronti del figlio, da Daenerys alla fine della sesta stagione, nonostante portasse il cognome dei suoi acerrimi rivali, e infine da Bran Lo Spezzato, che avrà sicuramente bisogno del mezzo uomo più amato di Westeros per veicolare la propria conoscenza. E chi invece meglio di Sansa avrebbe potuto regnare sul Nord? Dopo un lungo percorso di meravigliosa trasformazione, dopo aver affrontato le angherie di malefici sociopatici come Jeoffrey e Ramsay e aver imparato moltissimo da Ditocorto, la giovane lupa è diventata la naturale erede di Catelyn Stark. Una donna sicura di sé, saggia, contraddistinta da grande forza d’animo e capace di redarguire gli uomini al comando, facendo capire loro quando si stavano sbagliando. Lo fece Catelyn con il figlio Robb e lo ha fatto Sansa con il fratello, quando pensava di poter vincere facilmente la Battaglia dei Bastardi. Lei è diventata ciò che è grazie alle atrocità subite e non ha paura ad ammetterlo. Adesso ha conquistato l’indipendenza del Nord di cui è l’unica e vera regina.

Sansa e Tyrion

Arya

Che dire della più giovane degli Stark… Se i legami familiari non l’avessero chiamata, sarebbe già salpata verso terre inesplorate alla fine della sesta stagione, volontà che aveva già manifestato a Lady Crane. Il suo è stato un personaggio in continua evoluzione, ma contraddistinto sempre e comunque da grande forza, da una certa indipendenza e da un’inestirpabile curiosità. Come Jon, non avrebbe mai voluto ricoprire posizioni di potere, né tantomeno essere una lady al seguito della sorella o di un qualche lord, sfortunatamente per il povero Gendry. Dopo aver mostrato il suo lato più passionale proprio con il Lord di Capo Tempesta, aver compiuto la sua missione, sconfiggendo il villain più temuto, e aver scampato la morte nell’assedio di Approdo del Re, Arya Stark ha preso il largo verso un nuovo mondo tutto da scoprire. Il finale del quinto episodio con Arya assoluta protagonista, è la simbolica chiusura di un ottimo personaggio legato come pochi altri alla concezione di morte e alla sua essenza divina.

Arya Stark

Jon/Aegon

Il finale riservato a Jon Snow è, unitamente a quello ideato per Bran, quello che più ha sbigottito. In pochi si aspettavano che colui che è tornato dalla morte, che è stato acclamato come Re del Nord e infine si è scoperto essere il legittimo erede al Trono di Spade, finisse per tornare al punto di partenza. Invece, per la direzione intrapresa da questo capitolo conclusivo, probabilmente è il finale più giusto. Jon non sarebbe stato un buon sovrano e lo ha dimostrato più volte. Prima abbandonando il Castello Nero dopo esser stato sfiduciato e ucciso dai suoi stessi uomini, poi subordinando la sua carica di Re del Nord per inchinarsi alla sua regina, suscitando l’ira dei lord del Nord e infine dichiarando apertamente di non voler essere re, diritto che avrebbe potuto esercitare per nascita. Jon è l’eroe per eccellenza, colui che è tornato in vita per dare al mondo la possibilità di cambiare e assumere una nuova forma e che con quest’ultimo episodio ha assunto la veste di alter ego del maestro Aemon Targaryen. L’amore è la morte del dovere è la frase che proprio maestro Aemon disse a un giovane Jon durante il suo servizio da attendente nei Guardiani della notte e che viene ripresa non a caso in quest’ultimo episodio. Così come Aemon, Jon è un Targaryen che viene mandato alla barriera e di cui quasi nessuno saprà l’identità sulla faccia della terra fino alla sua morte. Ma il vissuto di Jon lo ha reso come un mosaico di personalità e fra queste c’è sicuramente quella di un bruto, ai quali Jon si unisce nuovamente e con i quali, forse, vivrà fino alla fine dei suoi giorni, come avrebbe voluto Ygritte.

Jon Snow 2

Bran Lo Spezzato

Eccezion fatta per l’ipotesi secondo la quale Tyrion e Sansa avrebbero potuto regnare insieme, unendo le casate del Nord e quelle del Sud, Bran era l’unico a poter sedere sul Trono di Spade. La categoria della circolarità trova nel giovane Corvo con Tre Occhi la sua più felice realizzazione, poiché proprio il giovane Stark aveva innescato le vicende all’origine della nostra storia, cadendo giù da quella torre a Grande Inverno, e con lui si concludono. Altro elemento fondamentale è proprio il fatto che Bran non abbia mai partecipato al gioco del trono, i cui partecipanti sono tutti morti, attratti dalla fatalità del potere. Adesso che quel trono è stato distrutto, il suo momento di regnare è arrivato. Infine, Come Tyrion afferma nel suo discorso ai lord di Westeros, tutti vorrebbero una figura come quella di Brandon al comando, poiché lui possiede il dono della conoscenza e ha alle spalle una storia che porterà i suoi sudditi ad acclamarlo e a considerarlo un sovrano degno di questo nome. Lunga vita a Brandon Lo Spezzato.

Bran Stark

L’Odissea degli Stark. E’ questa la chiave di lettura che ci piacerebbe dare al grande poema epico messo in scena negli ultimi dieci anni in Game of Thrones. L’immagine di Arya, Bran, Jon e Sansa ad Approdo del Re, la terra storicamente ostile al Nord, dove Ned aveva trovato la morte e da cui era partito l’ordine di uccidere Catelyn e Robb, ha sicuramente ripagato i giovani lupi per tutto ciò che hanno subito: perdite, sofferenza, stupro, morte. Ned e Catt potranno riposare in pace, perché i loro bambini sono diventati adulti e noi potremo dire di aver avuto il piacere di vivere una grande storia, che difficilmente potremo dimenticare. Adesso la nostra guardia è terminata.

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