In una piccola cittadina chiamata Centerville, qualcosa non quadra. La fine del mondo sembra essere vicina.
I morti non muoiono e la ridente cittadina si ritrova faccia a faccia con una massa di zombies ossessionati dal wifi e dallo Xanax. Il film che apre le danze del 72esimo film festival di Cannes è sulla buona strada per diventare un cult del genere zombie. Tuttavia Jim Jarmusch prende una strada diversa dalla filmografia zombie che fino ad oggi conosciamo, decostruendo gli schemi per creare un film noir, ma divertente allo stesso tempo. Non essendo sicuramente uno dei suoi film più belli, Jarmusch decide di giocare, regalandoci cosi un film a metà strada tra il trash e il geniale. Per quanto riguarda gli attori, Adam Driver incarna alla perfezione il ruolo dello sceriffo impassibile davanti ai mostri assetati di sangue. Addirittura interviene (attenzione piccolo spoiler), rompendo la quarta parete: So che finirà male, ho letto il copione.
Ad accompagnarlo in questa avventura I suoi tre colleghi: la poliziotta spaventata (interpretata da Chloë Sevigny), Tilda Switon nei panni di una tanatoesteta ed infine Bill Murray che interpreta perfettamente lo stereotipo dello sceriffo svogliato che parla per frasi fatte. Jim Jarmusch gioca col metacinema per farci sorridere. A cominciare dal portachiavi di Star Wars di Adam Driver al Bates Motel di Psycho, il regista chiama fortemente in causa la nostra cultura pop. Mentre Centerville viene invasa da una miriade di zombies, Jarmusch ci riempie di riferimenti musicali, ma soprattutto cinematografici. In ogni caso, poco dopo l’inizio del film non dubitiamo più del reale intento del film: farci sorridere anzichè spaventare. Su un piano tecnico Jarmusch ignora gli schemi classici e crea un’opera che omaggia i film sugli zombies.
Costruito a sketch, The dead don’t die si ispira notevolmente a dei classici del genere horror, a cominciare dai film di George Romero. Inoltre Jarmusch sin dalle prime inquadrature decide di rompere la quarta parete, portando così lo spettatore ad una riflessione costante ma poco profonda. Infine sceglie una catastrofe ecologica per spiegare il ritorno alla vita dei morti viventi. È sempre l’uomo, con conseguenze apocalittiche, ad essere causa del suo male. Metafora tristemente azzeccata anche per il film stesso poiché la scelta narrativa non lascia esterrefatti, tutt’altro.
Dopo i vampiri di Only Lovers Left Alive Jarmusch passa agli zombie, questa volta con risultati non troppo esaltanti. In particolare l’umorismo del film ci trasporta in una dimensione di simpatia più che di ilarità, lasciandoci un amara risata strozzata in bocca. Tanta simpatia ma poche risate, un problema su cui non si può soprassedere in una commedia horrorifica. Complice di un umorismo incapace di decollare vi sono dei personaggi di scarsa profondità, nonostante la metafora di Jarmusch sia ben identificabile sa comunque di già visto. Romero stesso aveva già regalato al mondo uno zombie critico della società moderna, con più maestria ed intensità di Jarmusch.
In poche parole Jarmush usa gli zombies come metafora per parlare del suo paese, gli Stati Uniti. Zombies affamati di wifi, social networks e altre novità tecnologiche dipingono una società che è lo specchio della nostra. Uno specchio che dovrebbe preoccupare il festival stesso, scegliendo film più innovativi e particolari, capaci di portare nuove idee e nuove esperienze. Gli zombie catatonici di Jarmusch, incantati davanti ai loro negozi preferiti, trasmettono un’inevitabile tristezza, che non deve divenire la stessa del festival. Cannes ha sempre portato grandi scoperte e novità nel cinema, e la monotonia artistica delle sue selezioni non deve divenire un elemento distintivo. Ma c’è ancora tempo per rendere grande questa edizione, che sarà senza dubbio più ricca di cervello degli zombie di Jarmusch.