Les Misérables: Parigi, 2018, il popolo francese è in totale subbuglio per la finale dei mondiali di calcio.
È attorno a questo evento, che almeno in apparenza sembra unire la Francia intera, ma che si svilupperà in un piccolo quartiere della periferia parigina, ad alto tasso di criminalità, che avrà luogo la vicenda. Diretto magistralmente dal regista francese Ladj Ly, il film prende il nome, Les Misérables, dall’omonimo romanzo del grande scrittore Victor Hugo. Presentato in anteprima, ed attualmente in lizza per conquistare la tanto agognata “Palme d’or“, alla 72esima edizione del festival del cinema di Cannes, la pellicola tocca e mostra temi importanti, quali l’abbandono, la droga, la prostituzione e la corruzione delle forze armate, attraverso gli occhi di Stephane (Damien Bombard).
Appena arrivato da Cherbourg, Stephane viene integrato nella squadra Anticrimine di Montfermeil. In coppia con Chris (Alexis Manenti) e Gwada (Djebril Zonga), i cui metodi, definiti “speciali”, risultano essere poco ortodossi, scoprirà le varie tensioni fra le gang del quartiere per ottenere il prestigio di quest’ultimo. Ma è a partire da un arresto sfuggito di mano e dalla ripresa di un drone che la situazione comincerà a degenerare; fino ad essere incapaci di compiere una netta distinzione tra bene e male. Les Misérables offre uno spaccato della società attuale che non potrebbe essere descritto in maniera migliore dal titolo stesso. Così come durante la lettura del romanzo, che incredibilmente pare essere stato scritto proprio nella disagiata Montfermeil, anche durante la visione del film si respira un’aria pesante dall’olezzo disgustoso, aria d’ingiustizia.
Un concetto, seppur astratto, che viene reso al suo meglio da un mix di azione, dramma e anche con una punta di ironia, quasi a voler rassicurare in alcuni momenti lo spettatore. Ingiustizia che colpisce soprattutto i più giovani, costretti a vivere nel degrado più totale, totalmente abbandonati a loro stessi da genitori snaturati. Vengono spesso immessi sulla cattiva strada o decidono di intraprenderne una autonomamente inconsapevoli di ciò che li aspetterà.
La miseria, dunque, non risiede soltanto nella mancanza di beni e denaro, ma principalmente in quella della speranza negata da una società corrotta che vuole, con una falsa cecità, non vedere. Situazione analoga, a quella dei miserabili di Ly è sicuramente quella de Los olvidados di Buñuel, proiettato nell’omonima sala per la categoria “Cannes classique” durante la prima sessione del festival. A quasi 70 anni di distanza l’una dall’altra, le due proiezioni, seppur in maniera leggermente diversa, mettono in evidenza la violenza di cui sono figli gli adulti, divorati da un sistema che non permette scelte sbagliate o che costringe a commetterne altrettante, e i giovani alla mercé dei primi.
Quello di Ladj Ly è senza dubbio un dramma dai toni forti e violenti, volti a creare, insieme alla rapidità delle azioni e ai dialoghi brevi e diretti, il coinvolgimento necessario affinché ci si renda conto dell’ intensità effettiva dei problemi mostrati per tutta la durata del film. Un insegnamento, forse, o ancor meglio uno sprone a non dimenticare coloro i quali sono vittime quotidianamente di innumerevoli vessazioni da parte della società che è la colpevole principale del dilagante clima d’odio venutosi a creare negli ultimi anni. “La società è colpevole di non fornire un’educazione gratuita per tutti, e deve rispondere per la notte che produce” scriveva Hugo circa 150 anni fa.
Les Misérablesè, pertanto, un film consigliato soprattutto a chi, consapevole di non essere altro che un prodotto del sistema, tiene ancora ben saldi i valori di amore, giustizia e solidarietà. [A cura di Gilda Vaccá]