Me and the devil è la rappresentazione del male in mezzo a noi e di quell’incomunicabilità che ci caratterizza.
Me and the devil, seconda opera di Dario Almerighi, è una curiosa riflessione sul male, che indaga sugli anfratti più torbidi della società di oggi, volta a delineare la profonda crisi empatica che la caratterizza. Una realtà sempre più alienata, che ricerca la sua stessa autodistruzione, attraverso meccanismi sempre più sadici e perversi. Una camera che rivolge il suo obbiettivo verso quella disperata necessità di contatto umano, di cui tutti abbiamo bisogno, ma che non sempre siamo capaci di esprimere. Un’impossibilità nel comunicare le proprie necessità, che si tramuta in incomprensione ed infine in violenza, qua rappresentata simbolicamente dal diavolo in persona.
Me and the devil però, nonostante tutti i suoi buoni propositi, non riesce a convincere totalmente, anche a causa di una sceneggiatura traballante ed una messa in scena poco congeniale. Una sequenza di eventi enigmatici, amalgamati tra loro attraverso soluzioni narrative banali, che alla fine risultano essere fini a sé stesse e poco incisive per lo sviluppo della trama. Una discesa verso gli inferi, che a volta risulta essere incapace di trasmettere tutto ciò che voleva comunicare, finendo così con il disperdere gran parte del suo potenziale. Me and the devil, sebbene non tradisca mai la sua natura amatoriale, riesce ugualmente a fornire performance degne di nota, come ad esempio quelle di Vittorio Boscolo e Angelo Grandi. Due attori che nel corso del lungometraggio sono stati capaci di fornire carisma e spessore ai propri personaggi, portandoli così a bucare lo schermo ed a rimanere impressi nella mente dello spettatore.
Il film però, tirando le somme,risulta essere una monotona eperversa riflessione sulla società di oggi.
Un’opera lodevole per diversi aspetti, ma chepurtroppo finisce con il girare a vuoto su sé stessa, senza però mai centrare il bersaglio. Me and the devil purtroppo sa lasciare davvero ben poco al pubblico a visione terminata, anche a causa di una sceneggiatura confusa e poco originale. Dario Almerighi realizza così un prodotto interessante per diversi aspetti, ma fallace per altri, ottenendo così un risultato finale poco appagante, ma comunque sempre rispettabile.
La fotografia ed alcune soluzione narrative disturbanti, ad esempio, conferiscono del prestigio e dello spessore al film, che riesce così a liberarsi abbastanza dalla sua natura amatoriale. Quel che ne esce alla fine quindi è un tentativo lodevole di fare un qualcosa di autoriale, prendendo spunto dal passato e cercando di giocare con il genere stesso.
Un esperimento che, sebbene si incarti su alcuni meccanismi, risulta comunque meritevole di un plauso e di un incoraggiamento nei confronti del regista a continuare a provare.