King Gizzard & the Lizard Wizard – Fishing for Fishies
Il supergruppo australiano torna dopo un paio d’anni (fine ’17 per la precisione) con un nuovo album annunciato e pubblicato in breve tempo, che soddisfa le aspettative solo a metà. Fishing for Fishies è, rispetto ai predecessori, marcatamente blues, e non sembra seguire la struttura a suite di lavori come Nonagon Infinity (2016) o Flying Microtonal Banana (2017). Nel disco il gruppo sembra essersi concentrato di più sulla scrittura, percorrendo territori diversi. Quello folk nella title track, quello di un ottimo blues rock in Boogieman Sam, la migliore canzone, e la parodia elettronica anni ’70 di Cyboogie. Oltre a questi momenti, forse solo Acarine risalta davvero come pezzo. Nel complesso non si riesce bene a capire dove Fishing for Fishies voglia andare, e quanto sia da prendere sul serio come lavoro discografico. Sembra in effetti più una distrazione, un episodio a parte che non intende porsi davvero seriamente nella discografia del gruppo.
The Drums – Brutalism
In Brutalism, il quinto album in dieci anni, The Drums (ossia Jonny Pierce, rimasto ormai l’unico membro ufficiale) propone un dance-punk rilassante, e non troppo ombroso. A tratti riscopre gli Stone Roses, ma riesce meglio quando si abbandona ad una psichedelia eterea stile ultimo King Tuff (in I Wanna Go Back, il momento più riuscito dell’album). Su tutto, sempre, trionfano la ritmica e le percussioni, che fanno da controcanto agli sfoghi sconsolati del cantautore, contrapponendo melodico (la voce, soprattutto) e anti-melodico (la ritmica, appunto). Giudizio: un album apprezzabile, non rivoluzionario, da ascoltare senza aspettarsi chissà cosa e da apprezzare per i suoi momenti atipici rispetto alla totalità.
L’ultimo progetto di Merrill Garbus passa per la colonna sonora del film del 2018 Sorry to Bother You. Essendo musica per film, questo nuovo lavoro del duo si astiene dalle strutture classiche fatte di verse e chorus, preferendo abbandonarsi a derive atmosferiche che hanno lo scopo preciso di fare da sfondo. Pure, in parecchie canzoni vengono ripresi dialoghi dal film, a riprova del fatto che questo non si può considerare un album dei Tune-Yards vero e proprio, quando un’appendice del film stesso. Il che è un peccato perché gli spunti sono tanti e sono buoni, come si sente in canzoni quali Does It Feel Good e Play My Clip. Nonostante ciò, comunque, per i fan questo lavoro può comunque rientrare tra le produzioni migliori della band, e non è troppa eresia volerselo ascoltare come una quarta fatica in studio del gruppo; anche se per il quarto album vero e proprio ancora siamo in attesa.
Come loro solito, i Sunn O))) si rivelano maestri nel trascinare l’ascoltatore in un labirinto di suoni oscuri e distorti, lasciando quasi nessun respiro nell’incedere lento e tenebroso degli apocalittici strumentali. Quattro tracce, le prime due attorno ai dieci minuti, le altre attorno ai venti, danno al fan medio della band esattamente quello che cerca. Qualcuno potrebbe forse (per esempio noi) obiettare che, dopo vent’anni di carriera, sarebbe magari il caso di cominciare a provare qualcosa di un po’ diverso. Ma d’altra parte, perché smettere di fare una cosa quando la si sa fare così bene?