C’è un po’ di rispetto e un po’ di sacra reverenza nel tributo a De Andrè, ma soprattutto c’è la sua musica.
Non si diventa mai icone soltanto per merito: c’è qualcosa di più, un valore aggiunto, un tratto così particolare, inusuale o esagerato da rendere l’individuo che lo possedeva non solo un genio, ma un’icona. Un’icona come Fabrizio De Andrè.L’opera di De Andrèè sostanzialmente l’Impressionismo della musica italiana, che ha sdoganato e portato al grande pubblico tematiche fino ad allora evitate dagli artisti o relegate ad una nicchia di tardoromantici e spinto di prepotenza nella cultura del nostro Paese un gusto realista e spietato fino ad allora appannaggio quasi solo della letteratura. Ma questo lo sappiamo già tutti, perché De Andrè è un’icona.
Non sempre le “icone pop” corrispondono, però, a vere pietre di paragone quando si entra nel loro campo, in riferimento proprio a ciò che li ha resi famosi; l‘esigenza di aver un idolo esteticamente (più che artisticamente) spettacolare, propria del mainstream, non è l’esigenza di avere un punto di riferimento solido, inattaccabile e che abbia articolato una teoria, artistica o meno, compiuta e globale, che invece è propria di chi vuole tuffarsi nello stesso mare dal quale quell’icona è emersa trionfante. Fabrizio De Andrè, però, è uno e trino: è insieme uomo, icona pop e punto di riferimento artistico.
Impossibile, per un artista italiano che abbia ascoltato Faber anche solo una volta, staccarsi del tutto dalla scrittura verista e violentemente allusiva del genio genovese, dalla fusione della scrittura stessa con la strumentale.
A dimostrazione di ciò, stamattina 26 aprile è uscito Faber Nostrum, il disco-tributo a De Andrè, per Sony Music, in collaborazione con la Fondazione Fabrizio De Andrè Onlus; sedici artisti hanno reinterpretato quindici diversi pezzi di Faber, ognuno secondo il proprio stile o secondo ciò che quel determinato pezzo suscita in lui, ognuno secondo la propria impressione.
Niente imitazioni spudorate, ognuno ha fatto propria la musica di De Andrè, così come lui avrebbe voluto.
Gli artisti scelti per il progetto appartengono alla scena del nuovo pop italiano: Gazzelle, CIMINI feat. Lo Stato Sociale, Ministri, Ex-Otago, Canova, Willie Peyote, Artù, Fadi, The Zen Circus, Pinguini Tattici Nucleari, Vasco Brondi, The Leading Guy, La Municipàl, Colapesce, Motta. Il disco era stato anticipato da Amore che vieni, Amore che vai nella versione degli Ex-Otago, Verranno a chiederti del nostro amore di Motta, Inverno dei Ministri e Canzone dell’amore perduto di Colapesce.
Si avverte la religiosità del compito assegnato agli artisti già nel titolo, chiaro rimando a “Pater Noster” ma anche a “Mare nostrum”, a sottolinearne l’appartenenza a tutti quanti noi. Il disco spazia da originali e sentite rivisitazioni a rispettosi tributi. Notevole Willie Peyote, che trasforma il testo de Il bombarolo in una personalissima confessione senza uscire fuori traccia, per dare al brano la carica disperata alla quale lo stesso dà voce; i Pinguini Tattici Nucleari, invece, tolgono a Fiume Sand Creek l’apparente allegria country, per farla diventare un trionfale requiem. Il cantautore Fadi canta Rimini, che è anche la sua città, con sotto semplicemente una tastiera e una voce che arriva fino a dove solo Faber poteva immaginare; gli Zen Circus e i Ministri portano Hotel Supramonte e Inverno su un tappeto di orchestra.
Non è il disco che salverà la musica italiana: è un tributo, e i tributi rischiano sempre di essere autoreferenziali. Stavolta, invece, i pezzi sono davvero pensati in onore di Faber, non in sua imitazione. E si sente nella riscrittura ancora più cruda dell’originale di Willie Peyote, nella straziante cover di Fadi, nel favore orchestrale di due gruppi rock. Si sente Faber nella chitarra di Amore che vieni, amore che vai degli Ex-Otago, che ricorda una ballata popolare, nei synth di Gazzelle che non squarciano la delicatamente tragica Sally.
Faber è di tutti, Faber è per tutti, Faber è “nostro”.
Qualcuno è stato meno ardito nell’offrire a De Andrè la propria musica, per prendere la sua: Colapesce sussurra cauto Canzone dell’amore perduto, i Canova hanno amplificato Il suonatore Jones, Vasco Brondi ha trasformato in una funzione sacraSmisurata preghiera. Ognuno ci ha messo se stesso e la propria visione artistica, togliendo a dei capolavori di questo calibro l’aura di “anzianità” che le circondava, per effettiva età anagrafica e per evidente contrasto in fatto di sonorità. Le canzoni sono state ridipinte, sono diventate impressioni espresse con il linguaggio della nuova musica italiana; non è solo una mossa di marketing, far suonare i Canova e Gazzelle anziché Gino Paoli e Fiorella Mannoia, è prima di tutto una mossa culturale. A Fiorella Mannoia e alla sua generazione non serve una reinterpretazione di Faber, a noi sì.
Dori Ghezzi, compagna di De Andrè, ha affermato come Faber stesso sentisse l’esigenza di sperimentare continuamente, e come quindi questo album non sia certo un oltraggio, ma al contrario, un atto dovuto perché le canzoni di Fabrizio De Andrè tornino ad essere dei loro legittimi proprietari: noi tutti, senza limiti di età o livello di conoscenza musicale.