Otto tracce che ci portano in un dolce inferno di droghe e spaccio, carcere e violenza. Stiamo parlando diScialla semper, l’album di esordio di Massimo Pericolo, album con cui il rapper, una tra le migliori (e più acclamate) sorprese del panorama italiano, si prende tutto.
La complessità della vita quotidiana e la disillusione nei confronti del futuro, del governo e della giustizia non sono di certo tematiche inedite e inesplorate dal rap e Massimo Pericolo non è di certo il primo a portarci davanti al disagio e alla violenza delle strade italiane, eppure riesce a risultare senza ombra di dubbio meno edulcorato e più credibile rispetto ai suoi compagni della scena attuale.
Con Scialla semper, Massimo Pericolo ci urla delle sue periferie e del vuoto degli spazi fuori dalle metropoli. Le sue parole sono crude e cattive, dettate da una violenza che non è nient’altro che voglia di vivere, piene di una profonda consapevolezza, di una sincerità mai presuntuosa. Che il suo desiderio fosse quello di trascinarci e buttarci nel bel mezzo del suo inferno è lampante fin dal titolo, che riprende il nome dell’inchiesta della Procura di Varese. Inchiesta che, nel 2014, portò in carcere anche il rapper, all’epoca poco più che ventenne.
Vicino alla violenza, però, si può scovare anche una delicatezza inedita. Abbandonando la zarraggine delle prime tracce, con la tanto decantata Sabbie d’oro, i toni si fanno meno adrenalinici, più intimi e le rime (che sono vivide come immagini, come quadri) vengono quasi sussurrate, ricostruite in modo più lucido, più raffinato, più sensibile.
E noi ce lo immaginiamo lì sulla strada con i suoi compagni, sparpagliati sull’asfalto ad urlare al mondo che, in realtà , la realtà non migliorerà mai, che la vita è una lotta senza quartiere.