Le donne assassine più pericolose della storia del cinema

Perchè, a differenza degli uomini, ossessionati dal piacere dell'afflizione e dal sesso, solo raramente le donne vengono ritratte come delle assassine?

donne assassine
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Nei classici film horror i killer, la maggior parte delle volte, sono uomini ossessionati dall’uccidere, dal piacere dell’afflizione e dal sesso. Non stupisce che di conseguenza, spesso le vittime e le protagoniste siano donne, all’apparenza più fragili e meglio apprezzate dal pubblico maschile.

Sono innumerevoli le pellicole dove vediamo uomini che uccidono una o più donne, o altre dove gli uomini le osservano ossessionatamente, altri ancora dove guardano a loro volta altri uomini che cercano di uccidere donne. In questi film “all’antica” la giovane protagonista in pericolo veniva spesso salvata dall’eroe, mentre in quelli più moderni la salvezza viene raggiunta attraverso le molteplici risorse che quest’ultima riesce prontamente e con intelligenza ad utilizzare.

Generalmente si ritiene che la donna sia più sensibile, estroversa, meno incline alla violenza, a dispetto dell’uomo. Questo fa sì che nella maggior parte dei racconti riguardanti donne assassine vengano analizzate e messe in risalto le principali ragioni, l’angoscia e le disgrazie che provocano l’ira impulsiva delle protagoniste. Si prova a rievocare l’origine dell’orrore, chiedendosi quali motivazioni o cosa abbia indotto la protagonista a compiere azioni così estreme. Queste tipologie di storie possono essere suddivise in tre categorie: racconti di donne respinte, gelose, di streghe e di psicopatiche, e, in alcuni casi, di donne semplicemente crudeli.

I grandi classici

I film classici come Che fine ha fatto Baby Jane?  (What Ever Happened to Baby Jane?), o 5 corpi senza testa (Strait-Jacket), sottolineano il disprezzo che la società apporta alle signore più anziane, per le quali gli anni della grandi occasione sono ormai passati per sempre. Ma bisogna risalire agli anni Sessanta per trovare il primo vero ciclo di pellicole horror con protagonista una donna, film come Piano… piano, dolce Carlotta (Hush… Hush, sweet Charlotte) oppure Nanny, la governante (The Nanny), o ancora Chi giace nella culla della zia Ruth? (Whoever Slew Auntie Roo?), la maggior parte ispirati a Viale del tramonto (Sunset Boulevard, 1950 di Billy Wilder).

In tutti sono presenti magnifiche attrici invecchiate, le quali ritraggono protagoniste grottesche, vecchie arpie, ferite e arrabbiate, per le quali la perdita del proprio fascino consegue anche la privazione della vita sessuale. Ai killer solitamente il futuro riserva solo un destino nefasto, il passato non dà loro scampo. Mentre invece per le protagoniste il destino le redime, o le purifica. Alla medesima maniera di questi film, che offrivano alle attrici che li interpretavano una seconda chance nel mondo di Hollywood, alle protagoniste che, dopo aver riattraversato le proprie esperienze lontane riescono a sopravvivere, viene concessa loro una seconda opportunità e la possibilità di un finale felice.

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La rivoluzione sessuale

Verso la fine degli anni Sessanta iniziano ad emergere film che fino a quel momento non sarebbero mai potuti essere girati, i quali analizzano gli effetti della rivoluzione sessuale in termini di sfruttamento e possessione. Film come L’angelo della vendetta (Ms. 45) di Abel Ferrara, Non violentate Jennifer (I Spit on Your Grave) di Meir Zarchi, o Mother’s Day di Charles Kaufman e Thriller (Thriller – en grym film) di Bo Arne Vibenius, racconti nei quali donne bellissime e di giovane età si vendicano dopo aver subito orribili e brutali violenze.

In Non violentate Jennifer, uno dei primissimi esempi espliciti e feroci di “rape e revenge”, Jennifer Hills (Camille Keaton), viene ripetutamente violentata da una banda di stupratori. Dopo essersi messa in salvo, il gruppo di carnefici misogini la aspetta per stuprarla di nuovo. La ragazza subirà uno sdoppiamento, divenendo una donna assassina e vendicandosi su ogni singolo membro della banda.

Ne L’angelo della vendetta invece la bellissima protagonista Thana (Zoë Lund) in seguito ad uno stupro diviene muta, l’evento inoltre scatena in lei una reazione destinata a proseguire sul piano della violenza, chiunque tenti di avvicinarsi con fini provocatori-sessuali è destinato ad incontrare la sua ira. Come molti altri personaggi femminili esenti da colpe, Thana decide di iniziare a farsi giustizia da sola, entrando in una spirale di violenza senza uscita. Non cerca di sopprimerla, ma la accetta e la velocizza, divenendo un terribile e bellissimo angelo vendicatore.

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Ms. 45 aka Angel of Vengeance

L’approdo nell’horror e le streghe

Una pellicola girata all’inizio degli anni Settanta che si incastra perfettamente nel genere di film sulle donne rifiutate è Le due sorelle (Sisters), il film horror indipendente che ha segnato la svolta nella carriera del regista Brian De Palma. La maestria cinematografica, la complessa psicologia dei personaggi scritti e i lampanti virtuosismi registici di De Palma rendevano il film completamente diverso da tutti gli altri. L’ interesse del regista per una tipologia di narrazione visiva andava di pari passo a quello esibito per l’analisi dei costumi del suo periodo storico.

Generalmente nel cinema horror, l’assassino è un uomo taciturno che nasconde il proprio volto e la propria identità dietro ad una maschera, insomma la classica tipologia di maschio silenzioso e, allo stesso tempo, forte. Ugualmente, si possono ottenere esiti orrorifici anche estremizzando gli attributi tipicamente femminili. La seduzione, il geniale intuito femminile, e, soprattutto, l’incredibile capacità di concepire la vita portano a rendere le donne quasi esseri miracolosi agli occhi della maggior parte degli uomini. Esaltando queste qualità, il loro potere diventa estremamente spaventoso.

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Le streghe rappresentano l’esempio più noto di personaggi femminili magici, sono seduttrici in grado di cambiare continuamente aspetto, nemiche del sentimento dell’amore, dei bambini e di ottusi contadini. Sono l’incarnazione del male, esseri senza anima nè coscenza.

Ad esempio la Strega Suprema interpretata da Anjelica Huston in Chi ha paura delle streghe? (The Witches, 1990 di Nicolas Roeg) è, in realtà, un mostro terrificante con sembianze umane. Mentre la strega interpretata da Barbara Steele, vampiresca e bellissima in La maschera del demonio di Mario Bava sembra non possedere nemmeno un briciolo di umanità, tornata alla vita dopo duecento anni, tormenta la vita dei discendenti del suo odiato fratello. Nell’indispensabile The Blair Witch Project  (Il mistero della strega di Blair, 1999 di Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez), invece, una misteriosa presenza di nome Elly Kedward ha il solo obbiettivo di provocare tutto il terrore e il dolore di cui è capace, anche dopo la morte.

Altri due film incredibili presentano come protagoniste delle donne assassine, che pur non essendo streghe, possiedono capacità e poteri paranormali. Uno di questi è Carrie – Lo sguardo di Satana (Carrie, 1976 di Brian De Palma), versione cinematografica del romanzo di Stephen King.

Si narra la storia di una timida liceale emarginata, Carrie White (magnificamente interpretata da Sissy Spacek) che attraversa il difficile periodo della crescita. Ma ciò che distingue Carrie da qualsiasi altra sua coetanea è che questa importante fase della vita coincide per lei con la scoperta delle sue incredibli capacità telecinetiche, le quali si manifestano assieme alle prime mestruazioni.

De Palma ci mostra come la ragazza acquisisca questi poteri contemporaneamente alla propria crescita “fisica”. Vediamo i suoi tormenti, che istigano lo spettatore a sperare che li usi per liberarsi dai suoi aguzzini, sottraendosi al ruolo di vittima che ha sempre avuto in tutta la sua vita. La “semplice” descrizione delle sue paure, dei suoi sogni, delle sue sconfitte e, infine, della sua catastrofica vendetta rendono il film un capolavoro memorabile. L’esperienza scolastica negativa, che vivono molti emarginati e bullizzati, viene elevata all’ennesima potenza, oltre ad essere ripresa con straordinaria maestria da De Palma, già ben noto ai più per la sua tecnica, ma del quale ancora si sottovalutavano l’empatia emotiva e la sensibilità.

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Tre anni dopo viene girato Brood – La covata malefica (The Brood, 1979 di David Cronenberg). Narra la storia di una donna tormentata, Nola Carveth (Samantha Eggar) che si scontra con il marito Frank (Art Hindle) a causa della custodia della figlia Candice (Cindy Hinds). La donna è in terapia dal dottor Hal Raglan (Oliver Reed) all’interno di un centro dove viene praticato un metodo di cura innovativo, una velata critica nei confronti dei sistemi terapeutici radicali diffusi in quegli anni.

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La terapia permette ai pazienti di manifestare fisicamente la propria ira attraverso il loro corpo, il quale viene invaso da escrescenze cancerose, che nel particolare caso di Nola sono in grado di generare deformi e pericolose creature dalle dimensioni di un bambino, vere e proprie personificazioni della rabbia della donna che mietono ogni persona che quest’ultima percepisce come minaccia. Le immagini, a dir poco straordinarie, rappresentano un dolore reale e vanno a delineare l’aspetto psicologico di una donna dal cuore e dalla mente ferite, inadatta con il ruolo che ha assunto da adulta.

Donne malvagie

Infine abbiamo anche molteplici film che raccontano di donne assassine, ma perchè semplicemente maligne e terribili, o vittime di ossessioni. Ne il Il giglio nero (The Bad Seed, 1956 di Mervyn LeRoy) un’adorabile bambina, nauseamente perfetta, intelligentissima e sempre vestita perfettamente, è in realtà un involucro che nasconde l’animo di un piccolo mostro cinico, senza cuore e senz’anima, che agisce con freddezza come fosse una serial killer provetta.

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Arriviamo poi ai già più noti Audition (Odishon, 1999 di Takashi Miike) e Misery non deve morire (Misery, 1990 di Rob Reiner), che descrivono in maniera angosciante donne che a prima vista sembrano calme e serene, ma in realtà talmente malate e sadiche da entrare di diritto nella classifica delle psicopatiche. Nel primo ci viene raccontata la storia di un uomo rimasto vedovo, che una volta deciso di risposarsi, segue il consiglio di un collega, ovvero seleziona la donna “perfetta” attraverso una finta audizione. Lei è giovane, incredibilmente bella, come fosse una statuina di porcellana, timida, fragile e misteriosa, ma (mai come in questo caso) si sa che l’apparenza può ingannare.

Il secondo è tratto dal romanzo del grande autore Stephen King e racconta di uno scrittore di successo che finisce nelle grinfie di una fan (magnifica Kathy Bates) che non gli perdona di voler far morire il suo personaggio preferito, un thriller diabolico e angosciante, costruito su un’incredibile follia, in cui siamo trascinati fino alle conseguenze più assurde e estreme.

Poi, pur non essendo un horror, come non citare la Sharon Stone di Basic Instinct (1992 di Paul Verhoeven), nei panni di una donna assassina, padrona della propria sessualità, mentalmente perversa. La Christine intepretata dalla bellissima attrice è il prototipo della nuova femme fatale, meno enigmatica, ma allo stesso tempo molto più intelligente e disinibita. Un thriller erotico di buona fattura, girato egregiamente da Verhoeven, regista attratto dalla dicotomia tra sesso e violenza.

Infine, più recentemente, abbiamo la Gone Girl  (2014, David Fincher), che racconta la storia di Amy (Rosamund Pike), che nel giorno del suo anniversario di matrimonio sparisce all’improvviso. Il compagno, Nick (Ben Affleck), viene accusato di aver ucciso la sua consorte. Tutti gli indizi sembrano incolpare il marito, ma si scoprirà che la realtà è ben diversa. Il film è una critica spietata dell’istituzione matrimoniale e del perbenismo della società americana, amara rappresentazione del mondo dei media. La camaleontica Rosamund Pike è semplicemente terrificante nel ruolo, isterica e manipolativa, è la vera matrice del film. “Occorre metodo”, dice la terribile Amy, mentre escogita il piano definitivo per  mettere in ginocchio il marito. 

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