Hellboy, il reboot che convince e funziona: tante risate quanto sangue

"La mia terapista mi dice che le battute mi fanno sentire più umano"

Hellboy
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Prima di addentrarci nella recensione di questo nuovo Hellboy, vanno fatte alcune premesse doverose. In primo luogo, si tratta di un reboot, un “rilancio“. Un film ex novo che non tiene conto dei due antecedenti capitoli targati Guillermo Del Toro. Almeno a livello narrativo. Ultimo ma non ultimo di importanza, anzi, è fondamentale ripetere che il medium fumetto non è il medium cinema. Hellboy nasce nel 1993 dalla mente di Mike Mignola, pubblicato dalla Dark Horse, una terza via indipendente rispetto i due colossi Marvel e DC. Undici anni dopo, Guillermo Del Toro darà luce al primo film tratto dal fumetto con Ron Pearlman nei panni del rosso protagonista. Quattro anni dopo, ecco arrivare The Golden Army, tra i migliori cinecomics di sempre. Ancora una volta, undici anni dopo, sbuca questo reboot diretto dal britannico Neil Marshall, regista che ha all’attivo il claustrofobico Descent, insieme ad altri film dimenticabili.

Accantonato Ron Pearlman, tocca a David Harbour prendere i panni, o l’impermeabile, di Hellboy. Un uomo che sembra essere condannato a convivere con le stranezze, a partire dalla netflixiana Hawkins. Qui però è lui stesso a far parte di queste stranezze. È proprio lui ad essere il diverso tra gli umani, che nonostante tutto continuano a guardarlo con paura e diffidenza. Tutti tranne suo padre, il professor Broom, qui interpretato da Ian McShane, il Mr. Wednesday del capolavoro American Gods. C’è qualcosa che rende sempre l’aria pesante e non bastano le scostumate battute di Hellboy a spezzare la tensione. Anzi, se possibile, peggiorano già una situazione di per sé pesante. Qualcuno vuole risvegliare Nimue, una bellissima Milla Jovovich nei panni della regina di sangue, strega sconfitta da Merlino e Re Artù nell’antico medioevo. Una leggenda nella leggenda. Una nemesi che porterà il nostro Hellboy ad interrogarsi su sé stesso.

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Hellboy

Andare avanti con la trama senza cadere in fastidiosi spoiler è impossibile. Fare il contrario sarebbe dannoso anche perché una delle tante qualità di Hellboy è proprio quella legata ai colpi di scena, scanditi da un ritmo incessante e da una colonna sonora a dir poco azzeccata. Dai Muse ai Motley Crue, per citarne un paio.

In questo film, abilmente diretto da Marshall, tra long take e un bellissimo piano sequenza finale con Kickstart My Heart, non c’è un attimo di respiro. L’azione predomina su ogni cosa ed in ogni momenti si passa dall’action all’horror senza alcun preavviso. Qualche momento per riprendere fiato c’è, fortunatamente, ma viene subito spazzato via. Questo permette già di capire qual è l’intento di questo nuovo Hellboy: saper fondere azione ad una trama intrigante. Senza mai rinunciare a quegli stilemi classici della mitologia, da Merlino alle tre parche che ben si amalgamano a questo granguignolesco Hellboy.

Le due ore abbondanti sembrano volar via in una manciata di minuti, tra una testa mozzata, un collo rotto e viscere varie. Non si risparmia, Hellboy. C’è tantissimo sangue e il divieto ai minori è più che giustificato. Sin dall’incipit, capiamo che assisteremo ad un film con una buona dose di violenza e con un comparto visivo curato nel minimo dettaglio. La cui unica pecca, spaccando il capello in otto e non solo in quattro, è quella di essere fin troppo frenetico nel ritmo.

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Hellboy

Ci troviamo di fronte ad un film che non è per bambini ma che soprattutto unisce due registi apparentemente agli antipodi per molti aspetti. L’aura della favola dark, tipica di Del Toro, si coniuga allo stile visivo-narrativo del primo Sam Raimi. Come accade nella bellissima sequenza che vede Hellboy incontrarsi con Baba Yaga, una strega ben lontana dalle sensuali forme del film di Corrado Farina. Lì c’è quella che può apparire come la fusione tra Il Labirinto Del Fauno, nella sequenza con il mostro cieco nella tavola imbandita, e La Casa, per il momento body-splatter con Baba Yaga stessa. Vedere per credere. Sullo sfondo, Marshall si abbandona ad una solida base caratterizzata dagli stilemi classici dei film supereroistici, ossia quella strutturale definita che vede nei colpi di scena il suo punto di forza.

Tuttavia l’impianto volutamente parodistico sembra quasi voler andare a dissacrare la stessa base su cui Hellboy si poggia. Sebbene venisse spacciato come film dall’aura più dark e oscura, Hellboy non è come lo si può immaginare. Scorre tantissimo sangue ma al fianco delle scene gore vengono posizionate delle serie di battute geniali che vanno a spezzare quel momento di violenza fine a sé stessa e rendere tutto molto più divertente e, paradossalmente funzionale. Questo perché le battute sarebbero stucchevoli se ripetute in loop, così come lo sarebbe il momento gore del caso. La dicotomia dialettica genera quindi una pregevolissima sintesi che potrà soddisfare chiunque. E se così non dovesse essere, passerete comunque un paio d’ore ad ascoltare della buona musica.