Border – Creature di confine, recensione di un film indimenticabile
Border - Creature di confine è un film di Ali Abbasi che ha sorpreso tutto il mondo. Una storia atipica, che racconta la diversità attraverso un'aura magica
Border – Creature di confine ci racconta della vita di Tina, una addetta alla sicurezza di un aeroporto, abile nel proprio lavoro grazie ad un talento unico: riesce a fiutare le emozioni delle persone. Le strabilianti capacità di Tina sono molteplici e nonostante l’aspetto da Uomo di Neanderthal, la sua vita sembra aver raggiunto un sostanziale equilibrio. Un piede nella società e l’altro nella natura più selvaggia.
Il film si muove su due binari paralleli. Il primo è rappresentato da questo contatto intimo con la natura — che ricorda una corsa selvaggia nel bosco — l’altro consiste in un thriller duro, scioccante, che fa voltare la testa proprio come accade dinanzi ad alcune verità scomode. Nonostante Tina conviva con la sua doppia natura in modo piuttosto sereno, salta subito all’occhio un’esigenza inespressa, taciuta. Tina è stanca di “correre” da sola e, per citare un romanzo, non vuole altro che trovare qualcuno con cui farlo. Il destino gioca a suo favore e durante uno dei tanti turni di lavoro, la donna s’imbatte in un uomo che sembra proprio appartenere al suo mondo. Finalmente qualcuno con cui correre.
A questo punto, l’anima dicotomica della trama si fa sempre più netta. Da una parte siamo testimoni dell’incontrarsi, riconoscersi e amarsi delle due creature; mentre dall’altra abbiamo un’indagine su una rete di pedofili scoperta proprio da Tina grazie al suo infallibile fiuto. La nostra eroina è ormai perfettamente sul confine. Un piede è ben saldo nella sua anima selvaggia e ferina, mentre l’altro è bloccato graniticamente in un mondo che l’ha parzialmente rifiutata. Come ben noto, non si può restare per sempre in una zona di “frontiera”, bisogna scegliere in quale posto stare, trovare la propria casa. Tina è posta davanti a questa scelta, proprio come lo spettatore che pur percependo il contesto di una classica e tranquilla cittadina nordeuropea, non può ignorare l’odore della terra bagnata, del Verde che chiama, della pioggia che scroscia sui boschi millenari.
Border è un film unico nel suo genere (o generi, vista la grande versatilità del racconto) che vi sorprenderà in maniera inaspettata. Una rivelazione a metà film capovolgerà tutte le vostre percezioni avute fin a quel momento, facendo diventare il film un’ esperienza spiazzante. Non ci spingiamo oltre, rischieremmo di rovinarvi un’opera che fa della parte centrale il proprio punto di forza.
Il racconto è valorizzato da una regia intimista, che esalta sia il dettaglio umano che quello naturale. La camera è concentrata sui piccoli movimenti, sulle inquadrature strette, che ci fanno sentire come un cane che fiuta l’aria per meglio comprendere il mondo che lo circonda. Anche gli sterminati paesaggi nordici vengono chiusi in immagini strette, chiuse, che tendono più a valorizzare l’insetto posato su una foglia che il bosco che domina il lago. Espediente perfettamente calzante con l’ambientazione nordeuropea, sempre incline alla valorizzazione della natura, ma fermamente attenta alle sensazioni degli esseri che calpestano la terra di quel mondo ancora selvaggio. Se siete abituati al modo di fare cinema e televisione dell’Europa più fredda, sapete benissimo di cosa stiamo parlando.
Sul piano concettuale, Border ci dona una morale contemporanea, che analizza la diversità, l’inclusione e l’esclusione ma soprattutto il rifiuto dell’idea che tutti gli uomini sono uguali, accompagnando questa ambigua riflessione con un monito forte e deciso: mai e poi mai dovremmo far del male alle persone solo perché esistono delle differenze. L’imperativo è rispettarle. Attenzione, no amarle, come in una classica morale cara ai cristiani, ma semplicemente avere riguardo di chiunque per il semplice fatto che rappresenta l’ennesima testimonianza di quanto sia complessa e ineffabile l’esistenza.