Film asiatici disturbanti: Visitor Q, Takashi Miike (2001, Giappone)
Secondo film di Takashi Miike presente nella lista,considerato uno dei film più controversi e provocatori diretti dal cineasta nipponico.
Visitor Q tratta dei temi dell’incesto, della necrofilia, dello stupro e del bullismo. Lo fa attraverso le vicende di una famiglia perversa e alla deriva, gli Yamazaki, simbolo metaforico del disfacimento del nucleo familiare e dei suoi legami nella società Giapponese, al loro incontro con il Visitor Q, autentico deus ex machina armato di mattone.
Il film è nato come parte di un progetto per la televisione giapponese, intitolato Love Cinema ed è stato girato interamente in un digitale sporco e funzionale, quasi dal piglio documentaristico. Una delle opere più malsane e spiazzanti della geniale follia cinematografica di Miike che ci obbliga a sostenere un crescendo morboso di atrocità, con scoppi di violenza tanto imprevedibili quanto devastanti.
Film asiatici disturbanti: Strange Circus, Sion Sono (2005, Giappone)
Altro film di Sion Sono, che qui ci trascina subito all’inferno, in una oscena storia di abuso familiare, con risvolti psicotici che danno vita a una spiazzante girandola di piani narrativi.
La realtà in Strange Circusviene costantemente ribaltata e rimescolata, creando una sensazione di straniamento che accompagna lo spettatore per tutta la visione. Una pellicola grottesca che fa dei colori e delle visioni oniriche, le sue armi più taglienti ed efficaci. Sion Sono imbastisce così un circo degli orrori dove i traumi, quelli più viscerali ed intimi, fuoriescono dal cuore delle persone e vanno ad intaccare la realtà di tutti i giorni, deturpandola in maniera irreversibile.
In Strange Circus non c’è spazio per le buone emozioni, ma solo per la parte più marcia e meschina dell’essere umano. Una pellicola con un’ottima regia e fotografia che purtroppo scade in un finale troppo didascalico, in grado di rovinare il costrutto onirico e filosofico che era stato imbastito in precedenza. Un piccolo difetto in una grande opera, che sa utilizzare il genere di riferimento per parlare dell’uomo e delle mostruosità che albergano al suo interno.
Film asiatici disturbanti: Caterpillar, Kōji Wakamatsu (2012, Giappone)
Presentato in concorso al Festival di Berlino 2010, il film è uno degli ultimi lavori del grande Kōji Wakamatsu, uno dei più grandi registi giapponesi di sempre.
Dopo la guerra sino-nipponica, il tenente giapponese Kurokawa torna a casa mutilato, non ha più gambe ne mani, ha perso l’udito, la parola e ha gravi ustioni su gran parte della testa. Ad accudirlo c’è la moglie Shigeko, persuasa da parenti e paesani, che è un obbligo e un onore occuparsi di un uomo così eminente, denominato addirittura il “Dio della Guerra”. Shigeko dovrà quindi comportarsi da moglie fiera e fedele del proprio marito, occupandosi di tutto il lavoro della famiglia, sia in casa che sul campo, oltre a soddisfare i bisogni fisiologici reclamati insistentemente dal marito, sicuro nella sua eroicità di averne ogni diritto. Una ritualità reiterata all’estremo.
Un film minimale nell’ambientazione (essenzialmente si svolge nella casa, nella risaia, in cui le donne lavorano e nel centro del paese, dove l’uomo viene idolatrato dalla gente), praticamente basato sui due soli personaggi principali. L’orrore della guerra trapela intensamente, sboccia velenosa tra la retorica militarista, il crepuscolo dell’impero nipponico e la tragica fine atomica di qualsiasi sogno di dominio.
Film asiatici disturbanti: Ichi the Killer, Takashi Miike (2001, Giappone)
Ancora un film dal regista dell’estremo Takashi Miike. Un capolavoro completamente insano, che fa della propia follia e dell’esagerazione (caricaturale e fumettistica) un metodo, fin dallo scioccante incipit.
Tratto dall’omonimo manga ipersplatter di Hideo Yamamoto, la pellicola mette in mostra le vicende di un ragazzo mentalmente disturbato, ovvero Ichi, un serial killer silenzioso, freddo, glaciale, capace di qualsiasi cosa e a cui piace affettare le sue vittime con delle lame, eccessivo in tutto, esattamente come il regista. Il suo antagonista dal polo opposto è invece Kakihara, un boss della yakuza dal look eccentrico, estremamente sadico, ma che in realtà vorrebbe solo incontrare qualcuno che riesca a tenergli testa e a soddisfare il proprio delirante masochismo. A far da cornice allo scontro tra i due non mancano corpi dilaniati e mutilati, torture, sesso e sperma, in una delle più intense pellicole di Miike, che ovviamente non risparmia nulla e nessuno in questa folle pellicola ultraviolenta.
Film asiatici disturbanti: Late Bloomer, Go Shibata (2004, Giappone)
Go Shibata è annoverato tra i registi convinti che l’orrore più efficace non scaturisca dall’etereo, ma bensì dalla descrizione analitica e scientifica della nostra quotidianità. Pertanto porta sullo schermo una umana condizione di frustrante disabilità verbale e motoria, distanziandosi però dalle comuni storie che solitamente affrontano questa tematica.
Late Bloomer è la storia di Sumida, un uomo gravemente handicappato, ma che, nonostante i suoi limiti fisici e contrariamente ai pregiudizi culturali sugli handicappati, ha tutti i più normali desideri e i tratti della personalità di un qualsiasi uomo normale. Adora fare festa, mangiare, bere birra, andare ai concerti e incontrare ragazze. Tuttavia, la vita di Sumida inizia a vacillare quando si prende una cotta per la sua nuova badante, Nobuko. Prevedibilmente però, i sentimenti non vengono ricambiati, e quando Nobuko inizia a passare il suo tempo libero con l’amico Take, Il povero Sumida impazzisce dal desiderio e dalla frustrazione, venendo risucchiato in una spirale discendente verso l’inferno.
L’attore principale, Masayuki Sumida, soffre della stessa malattia del suo omonimo personaggio, rendendo il film terrificantemente realistico. Inoltre, l’estetica del film, compreso l’uso del B/N, il suono e il montaggio, riportano alla mente Tetsuo, il già citato capolavoro di Tsukamoto.
Film asiatici disturbanti: Dumplings, Fruit Chan (2004, Hong Kong)
Inizialmente parte dei corti horrorThree … Extremes, dove ci venivamo mostrate tre declinazioni dell’horror orientale, ognuna diretta da registi diversi. Dumplings da un semplice, ma efficace episodio, è stata ampliato successivamente in un lungometraggio che approfondisce la storia.
Con l’avvicinarsi della mezza età, Li Qing, ex stella di serie Tv, è costretta a combattere contro l’affievolirsi della propria bellezza, contro una ragazza giovane e bellissima che le sta portando via il marito e contro una carriera in declino. Presto la signora sentirà parlare di un misterioso chef, la cui ricetta dei ravioli miracolosi si dice sia in grado di far ringiovanire le persone. L’ingrediente segreto però sono feti abortiti e, nonostante il suo generale disgusto iniziale, la signora Quing se ne ciba volontariamente, divenendo un cliente fisso.
Fruit Chan sorprende e stordisce per la bestiale e ironica critica alla ricerca ossessiva della giovinezza, mescolando dramma e horror estremo, creando un’intensa, disgustosa e allucinate efferatezza, sia narrativa che visiva.
Film asiatici disturbanti: Violated Angels, Kōji Wakamatsu (1967, Giappone)
In ultimo, ma non per importanza, abbiamo deciso di inserire ancora un lavoro del maestro Kōji Wakamatsu, che, a parere di chi scrive, viene considerato uno dei suoi più grandi film.
Girato in una sola settimana e ispirato ad un fatto di cronaca nera avvenuto nel 1966, Violated Angels si svolge completamente in un unico spazio chiuso e racconta la storia di un ragazzo, frustrato e impotente, che, invitato, penetra in un dormitorio per infermiere, prendendole prima in ostaggio, e poi dando sfogo alla sua follia omicida.
Wakamatsu sospende la storia su di un piano metafisico, un nonluogo dove i desideri e le pulsioni dell’uomo giapponese, che si abbattono senza pietà sulle ragazze, sono la metafora di una società estremista e misogina. Nonostante le violenze del cinema moderno ci abbiano abituato a sequenze ben più esplicite, Violated Angels è tutt’ora un film disturbante, pregno di un malessere che rende il film indigeribile, il tutto incorniciato attraverso l’utilizzo di un bianco e nero, dilaniato solamente da brevi sequenze a colori, poste a rivelare l’orrore della violenza espresso attraverso lo spargimento del sangue.