Burning – Un’opera mesmerizzante sospesa tra il non detto e il non visto

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Al Florence Korea Film Fest abbiamo visto Burning, uno dei film più importanti dello scorso anno, tratto da un racconto dello scrittore Haruki Murakami (Barn Burning). Burning va ad affiancare una schiera di titoli davvero interessanti proiettati alla kermesse fiorentina: Swing Kids, film di apertura, Illang: Uomini e lupi, il nuovo lavoro di Kim Jee-woon per Netflix e Asura, City of Madness.

Lee Chang-dong si è presentato in concorso al Festival di Cannes con Burning, un film che arriva dopo 10 anni dal precedente lavoro del regista sudcoreano (autore, tra gli altri, di Peppermint Candy, Oasis, Poetry e Secret Sunshine). L’opera, come ha sottolineato la critica specializzata, vale l’attesa imposta dal suo creatore.

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Burning trasporta lo spettatore in un mondo parallelo come pochi film riescono a fare. Jong-su, aspirante scrittore, è uno dei giovani coreani vittima di una crescente disoccupazione, ha un rapporto conflittuale con entrambi i genitori ed una storia travagliata alle spalle. Quando incontra Hae-mi rimane vittima della sua misteriosa ed estroversa personalità e se ne innamora, accetta di occuparsi del suo gatto mentre lei parte per un viaggio in Africa. Nel frattempo Jong-su si trasferisce in una zona rurale, nella fattoria di famiglia, disabitata dopo che il padre è rimasto coinvolto in un processo penale. Inizia ad occuparsi dei campi e della stalla con in sottofondo le parole della propaganda nordcoreana che arriva dal confine. Al ritorno dal suo viaggio Hae-mi si presenta in compagnia di, Ben, un “Grande Gatsby” coreano, come lo definisce Jong-su, amante di Faulkner. Ben guida una porsche e vive in un meraviglioso loft open space nel centro di Seoul, cucina pasta e passa le serate in compagnia di amici altrettanto facoltosi. Sbadiglia e si annoia, ma col sorriso sulle labbra, sembra sempre avere un paternalista insegnamento per il prossimo. Tra i tre si crea un triangolo non-amoroso, o per meglio dire, un triangolo di metafore ed incertezze, che oscilla tra il non detto ed il non visto.

Burning

Burning è un film fatto di atmosfere, che indugia sul suo vero significato solo per un po’, prima di trascinare lo spettatore in un turbinio di emozioni difficili da decifrare, esaltandosi in un rapporto a tre praticamente muto e inesplicato. Il mutismo di Jong-su porta ad una crescente dispersione delle certezze dello spettatore stesso. Non devi sforzarti di immaginare che quella cosa ci sia. Devi piuttosto smettere di pensare che non ci sia: questo è uno degli indizi che Lee Chang-dong semina ad inizio film per chiarire subito la chiave di lettura del suo lavoro. Così, leggendo a ritroso le dinamiche di Burning, si spiegano i mille fantasmi del film. Il gatto invisibile di Hae-mi, la madre di Jong-su che ritorna ma presta più attenzione al proprio cellulare che al figlio ritrovato, il padre rabbioso che subisce passivo il proprio processo, l’orologio sportivo che Jong-su regala ad Hae-mi, le serre bruciate, il pozzo…
Perfino i personaggi, tutti eccetto Jong-su, diventano vagamente palpabili solo quando incontrano il protagonista e tornano poi a scomparire quando questi volta lo sguardo. Entrano ed escono dalla vita di Jong-su con rapidità disarmate, lo fa la madre che appare dal nulla, lo fa Hae-mi che scompare dopo una serata trascorsa insieme, lo fa il padre e la famiglia di Hae-mi. Jong-su passeggia nel mondo disorientato e dichiara che il mondo è un mistero per lui, per questo non riesce a scrivere. L’universo di Burning è il mondo parallelo in cui Lee Chong-dong/Jong-su si è perso e non è un caso che in questo mondo si parli della società coreana, della propaganda del nord, della condizione dei poveri e del distaccato cinismo dei ricchi, visto che Lee Chong-dong oltre che regista è scrittore e politico profondamente immerso nella cultura del proprio paese.

Chi rappresenta allora Hae-mi? Chi rappresenta Ben? Chi rappresentano i suoi genitori e le serre che Ben si diverte a bruciare? Il pensiero che tutto sia da ricondurre ad un pensiero sociopolitico incombe, ma sarebbe estremamente semplicistico ridurre tutto a questo, privando del proprio mistero uno dei migliori film del 2018, che forse si può davvero capire solo dopo un attento e scrupoloso studio di tutte le tematiche e le opere del regista.

RECENSIONE
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Lapo Maranghi
Medico con la passione per il cinema. Nato a Firenze, vanta un bagaglio culturale vintage-pop costruito grazie a varie attività parallele, portate avanti boicottando e autosabotando i propri studi, come la lettura compulsiva di fumetti e libri, la passione per concerti e festival, la pallanuoto e ovviamente l'amore per il cinema. Scrive per la Scimmia perché nessuno è più figo della Scimmia.
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