Nonostante le premesse, prende completamente un’altra strada dopo l’introduzione. Triple Frontier non è l’ennesima caccia al signore della droga, ma il ritratto di un grande dramma umano, il cui ritmo è dettato dal conflitto tra la cupidigia e la sopravvivenza. I cinque amici si imbarcano infatti in una complessa operazione che ribalterà le loro concezioni di giusto e sbagliato. L’obiettivo è Lorea e i suoi milioni di dollari. Il verde delle banconote si estende a tutte le palettes cromatiche del film, rendendo il comparto visivo globalmente piuttosto unitario e coeso. In un paio di occasioni si ha l’impressione che siano state forzate alcune dominanti per compattare ulteriormente la fotografia.
Questa sensazione viene smentita dalla sequenza dello scontro sui bianchi costoni rocciosi. Qui si esprime al meglio la potenza dei luoghi scelti per le riprese, punto forte della regia, che riesce a sfruttarli al meglio delle proprie possibilità .
Da una parte bisogna lodare Chandor per non aver cercato di fare due film in uno, concentrandosi invece su un’idea coraggiosa ed originale di caper movie. Rinunciando al lato più action, il regista imposta dei buoni punti di forza senza le necessarie premesse. Triple Frontier sembra un po’ mutilato di quel realismo magico di opere come Narcos o dello stesso Sicario, fratello maggiore di Soldado. La capacità di indagare quella linea sottile e confusa che separa i buoni dai cattivi è mancata a questo film, e ne avrebbe tratto sicuramente beneficio. Da quel nucleo magmatico di contrasti e paradossi la scrittura ne sarebbe riemersa sicuramente rafforzata. Insomma, un film sufficiente, ma di certo non il nuovo gioiello di Netflix.
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