La verità sul caso Harry Quebert diventa una serie con protagonisti Patrick Dempsey e Ben Schnetzer, ma regge il confronto con il romanzo di Joel Dicker?
In molti non vedevano l’ora di poter ammirare la serie criminale ispirata a La verità sul caso Harry Quebert, ancora ammaliati dall’ottimo romanzo dello scrittore ginevrino. Joël Dicker ha scritto un racconto fatto di personaggi ricchi, invischiati in un intreccio misterioso dove la ricerca della verità non è mai da dare per scontata. Invitati con piacere all’anteprima dei primi due episodi da parte di Sky Atlantic, abbiamo potuto assaporare un primo assaggio di questo romanzo criminale con i due primi episodi. Nella serie i panni di Harry Quebert vengono indossati da Patrick Dempsey, trasformandosi così in uno scrittore considerato come uno dei grandi della letteratura per il suo capolavoro “Le origini del male“. Siamo nel 2008 e ritiratosi nel pittoresco Maine, luogo di origine per il suo grande successo, Quebert deve aiutare il suo pupillo, Marcus Goldmann, a ritrovare l’ispirazione per il suo prossimo romanzo.
Il Maine è un affresco naturale tanto bello quanto misterioso, fatto di foreste lussureggianti, strade piene di pace e coste a strapiombo. In questo funesto paradiso ha inizio l’odissea amorosa di Harry Quebert. Nel lontano 1975 conosce Nola Kellergan (Kristine Froseth), una quindicenne che rappresenta una sorta di Lolita, al cui fascino Harry cede inevitabilmente. Nella serie, a differenza del libro, questa infatuazione scocca al primo sguardo, un approccio abbastanza insolito pensando che si tratta di una ragazzina. Ma come detto il Maine è un paradiso infernale, il tempo di chiudere gli occhi e dallo strano colpo di fulmine si passa alla povera Nola che fugge spaventata in un bosco, per poi cercare rifugio in casa di una vecchia signora. L’anziana subito chiama la polizia, ma è troppo tardi, un colpo di fulmine, questa volta uscito dalla canna di una pistola, la colpisce in fronte; lei rimane distesa a terra senza vita e Nola scompare. Non ritornerà più Nola, 30 anni dopo il suo corpo viene ritrovato e dove se non seppellito nel giardino del suo grande amore, Harry Quebert.
Marcus, interpretato da Ben Schnetzer (Snowden, Pride e Warcraft), corre subito in aiuto del suo mentore che crede innocente, seppur con qualche remora non da poco. È lo stesso Marcus, messo alle corde dall’incalzante termine di consegna del suo prossimo romanzo, a non sfruttare il suo tempo per scrivere ma a scavare nel passato di Harry, della defunta Nola e di tutta la cittadina, per risolvere il caso. Da qui le cose iniziano a farsi interessanti, venendo catapultati negli anni ’70 dai racconti dei paesani che detteranno i nuovi passi di Marcus nel “quasi” presente del 2008. Un cammino ostacolato dal sergente Perry Gahalowood (Damon Wayans Jr.) poco intenzionato a farsi rubare il mestiere da un damerino di New York dai bei mocassini e dalla facile parlantina. È solo l’inizio di un’indagine che vedrà Marcus in pericolo. La ricerca di una verità troppo scomoda, per molti più di quanti si possa credere, diverrà sempre più rischiosa.
Il problema principale di La verità sul caso Harry Quebert sono però proprio i suoi personaggi, a fronte della loro magistrale rappresentazione nel romanzo. Rispetto all’opera originale appaiono più stereotipati e ingozzati di cliché, ben visibili anche a causa di dialoghi a volte troppo didascalici e poco emotivi. Delle considerazioni da prendere però con le pinze, trattandosi solo dei primi due episodi. Ne abbiamo ancora 8 dove Marcus, Harry e tutti gli abitanti, potranno sorprenderci dando vita ad un murales di vite e segreti carico di pathos, degno delle bellissime parole di Joel Dicker. Da un punto di vista narrativo il libro presenta un io-narrante assunto principalmente da Marcus Goldman, con diverse eccezioni fatte da vari personaggi. La serie non è da meno e se nei flashback possiamo sentire i fatti avvenuti così come li ricorda l’interpellato, nel presente i pensieri di Marcus ci accompagnano nelle indagini; è lui i nostri occhi e le nostre orecchie nel caso.
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Una scelta registica audace che vuole riprendere fedelmente il libro quella di Jean-Jacques Annaud (Il nome della rosa, Il nemico alle porte, 7 anni in Tibet) che solo dopo una visione completa potrà essere valutata come vincente o meno. Per il resto la regia è altalenante, alternando buone idee a momenti meno azzeccati, complice una fotografia mutevole in base al periodo temporale in cui ci troviamo. A questo proposito le scene ambientate negli anni ’70 appaiono più vere e vive, forse perché, paradossalmente, pensate per rappresentare i ricordi avvolti da questo spietato omicidio. La verità sul caso Harry Quebert ha del grande potenziale, che speriamo possa emergere in tutto il suo splendore negli episodi successivi.
Ma in fondo conta la curiosità e il mistero è ben palpabile fin da subito. Una domanda martellante ci attanaglia, non lasciandoci spazio per dare peso a molto altro: chi ha ucciso Nola? Più si arriverà vicini alla soluzione e più l’intreccio si farà aggrovigliato, portandoci a scoprire nuovi segreti in un conto alla rovescia senza fiato. Proprio come nelle pagine di La verità sul caso Harry Quebert, dove la numerazione dei capitoli è invertita e il trentunesimo è solo la prima parte di un lungo viaggio a ritroso nel tempo, per scoprire cosa è accaduto nell’estate del 1975.