Amour è un’opera che sceglie di parlare maggiormente attraverso le immagini, costruendo sequenze visive cariche indirettamente di enfasi e mai banali. Un film che dilata la sua struttura narrativa per lasciare respirare i silenzi, i gesti quotidiani e tutti quei ricami che vanno a comporre la vita di coppia. Il regista austriaco costruisce così un poema tanto struggente, quanto delicato e crudo, che narra della vita e di tutto ciò che la compone. Michael Haneke si dimostra nuovamente un abile illusionista, riuscendo a far sembrare una storia fittizia, come autentica e palpabile, attraverso una costruzione non verbale elaborata, ma al tempo stesso immediata. Gesti, espressioni di una complicità artificio del cinema, che viene però elargita dagli attori con una naturalezza così disarmante, da apparire realmente autentica. Un lavoro scevro di eccessi e di qualsivoglia enfasi, che si impone attraverso una costruzione scenica chiara e limpida, volta a far trasparire il dramma in esso. Una ripetizione incessante ed interrotta di un’esistenza, non solo volta alla morte del corpo, ma anche a quella dello spirito. Una vita ciclica, che ingabbia gli esseri viventi, in una prigione statica e decadente. Un concetto espresso attraverso la scena del piccione, il quale trova l’empatica e la comprensione del protagonista, riverso nella sua medesima condizione.
Michael Haneke in Amour sceglie di comunicare con lo spettatore attraverso un linguaggio più puro ed istintivo, a tratti quasi primordiale. La musica, elemento cardine dell’opera, non viene quasi mai messa sotto i riflettori, ma nonostante questo riesce a fuoriuscire dagli angoli in cui viene confinata, arrivando a trasmettere emozioni in modo quasi silente. Una colonna portante nella vita dei due protagonisti, che si manifesta attraverso nella sua assenza scenica, nei ricordi in cui si manifesta e in quel pianoforte che giace inutilizzato all’interno di una stanza. Uno strumento, simbolo della decadenza dei personaggi, rappresentazione di ciò che erano e di cosa in realtà sono oggi. In una sequenza in particolare, ad esempio, possiamo avvertire un forte contrasto in essa. Micheal Haneke inquadra inizialmente Emmanuelle Riva suonare in modo armonico il proprio pianoforte in un flashback, per poi staccare rapidamente sul presente, dove lo strumento giace inutilizzato, silente e sovrastato dal rumore disarmonico di un’aspirapolvere. Una trovata visiva funzionale, che non fa altro che rafforzare stilisticamente il declino e la condizione dei protagonisti, avvolti in un caos che frantuma il loro passato equilibrio.
Amour è un film che stringe il cuore del pubblico in una morsa, in un dolore universalmente famigliare: quello della malattia. Un capolavoro curato in ogni singolo dettaglio, che esalta le forme e le situazioni, riempiendole di sensazioni arcaiche e comuni a tutti gli esseri umani. Il destino inevitabile che aleggia sull’intera storia, quell’inevitabilità tragica presenziata fin dalla prima inquadratura, non fanno altro che sottolineare la fragilità dell’esistenza e l’impotenza umana. Delicato, ma crudo; dolce, ma sadico. I contrasti scelti da Michael Haneke, danno vita ad una danza malinconica e struggente, che non può non suonare famigliare a tutti noi. Un’amore, quello protagonista, non romantico o romanzato, ma estremamente veritiero nel suo manifestarsi. Un sentimento che soverchia la forma, il classicismo moderno a cui è legato, per andare a concretizzarsi nel modo più sincero possibile.Â
Love Exposure non è solo un manifesto della cultura pop, ma anche un’opera che vive di contrasti e di esasperazioni. Un film che oltre ad essere un capolavoro dei nostri tempi, si erge anche a simbolo di una generazione e di una cultura.
Sion Sono dirige così il suo più grande lavoro, un’odissea che si inerpica tra il sacro e il profano e che indirettamente esalta il concetto dell’umorismo Pirandelliano, ponendo attenzione al tempo stesso al problema dell’alienazione. La religione, o una qualsivoglia convinzione popolare, è capace di plasmare non solo la società in cui si instaura, ma anche la concezione della realtà di chi vi crede. Un’influenza spesso violenta, che agisce nel subconscio di chi ha fede e che lo porta inevitabilmente ad una metamorfosi, sia nel pensiero e sia nel modo con cui si interfaccia con il mondo. Una forza sacra e nichilista che si scontra con quella profana e insita nell’uomo; l’amore ed il sesso.
Love Exposure è un film che mette in luce una società fatta di esasperazioni; condizionata e plagiata dai mille input che riceve quotidianamente. Una realtà esposta ad una battaglia invisibile tra sacro e profano, tra ciò che la gente considera giusto e ciò che ritiene moralmente sbagliato e di conseguenza tra quello che è un artificio e quello che è puramente naturale. Sion Sono quindi porta in vita un’opera esistenzialista pop, dove il vuoto cosmico di una società , senza una vera e propria identità , si scontra con un latente pessimismo nei confronti della religione, vista come un macigno pronto a schiacciare tutti coloro che lo sorreggono.